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La legge Domizia, 104-103 A.C.


Nel 104-103 a.C. la legge Domizia applicò lo stesso procedimento elettorale agli altri sacerdoti, conferendo all’assemblea ridotta incaricata di eleggere il pontefice massimo, il potere di scegliere i membri del collegio pontificale, augurale, decimvirale, septemvirale. La procedura comportava diverse tappe; in un primo momento i membri del collegio procedevano alle nomine, cioè alla proclamazione sotto giuramento dei candidati che giudicavano degni del sacerdozio; ogni sacerdote non poteva nominare più di un candidato e nessun candidato poteva beneficiare più di due nomine alla volta. La legge Domizia intese porre fine al controllo dei sacerdoti propriamente detti da parte di un numero molto ristretto di famiglie che in questo modo si appropriavano, all’interno della repubblica, di un potere pubblico che non condividevano con i loro pari. Il ruolo sacerdotale veniva affidato a tutti coloro che erano i rappresentati eletti dal popolo. A Roma si nota un’estrema diffusione degli atti sacerdotali, dai sacrifici offerti dai consoli ai riti domestici celebrati dai pater familias. Non c’era un clero preposto alla celebrazione di tutti gli atti religiosi: ogni magistrato o sacerdote non aveva che una parte delle competenze e questo solo in relazione a una comunità ben precisa. Coloro che rappresentavano l’insieme del popolo (magistrati e sacerdoti di Roma) erano troppo pochi per poter offrire il loro servizio a tutti i cittadini, anche quando erano chiamati a farlo dalle norme religiose. Tranne poche eccezioni, nessun romano avrebbe mai pensato di convocare un sacerdote per celebrare il culto a casa sua. I sacerdoti pubblici per esempio i pontefici, non celebravano che riti riguardanti il popolo romano nel suo insieme. Assurda l’idea di un qualsiasi controllo dei sacerdoti sulla vita religiosa di tutti i cittadini. Le loro competenze concernevano un solo corpo di fedeli, la res pubblica, il popolo romano nel suo insieme, non gli individui che lo componevano: il loro sacerdozio riguardava gli atti di sovranità e di governo non l’aiuto e il controllo dei cittadini. Questi svolgevano di persona gli incarichi sacerdotali a casa o nelle loro comunità alle quali appartenevano.

Tratto da L'UOMO NELLA SOCIETÀ ROMANA di Alessia Muliere
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