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Il dirirtto come esercizio intellettuale a Roma II e III secolo A. C.


L’elaborazione e la cognizione del diritto, dello ius, come esercizio intellettuale distinguibile isolatamente, che richiedeva e sviluppava attitudini e talenti particolari, ha atraversato per intero la storia d Roma per 10 secoli: dall’epoca delle XII tavole, alla metà del V secolo, fino alla pubblicazione del corpus iuris civilis di Giustiniano in pieno Impero bizantino. I giuristi romani non furono solo dei sapienti, dei conoscitori o degli scienziati del diritto. Per una parte non breve della loro storia ne furono anche i più importanti e prestigiosi costruttori e produttori. Anzi i secoli d’oro del sapere giuridico (dalla fine del II secolo a.C. ai primi del III secolo d.C.), coincisero quasi completamente con la stagione della completa affermazione del tessuto istituzionale della società romana, di un modello di diritto giurisprudenziale, di un ordinamento cioè dove il potere normativo era concentrato in misura rilevante nelle prerogative di ceto dei giuristi. Vi sono anche segni di grandi mutamenti che riguardano sia la posizione sociologica, di ceto, degli esperti di diritto, e i loro rapporti con l’insieme delle comunità e delle istituzioni, prima della città poi dell’Impero, sia le forme del loro sapere: la struttura e la qualità delle conoscenze che essi producevano, accumulavano e trasmettevano. A differenza degli altri diritti antichi il diritto romano non solo fu l’unico scientificamente elaborato, ma fu anche il solo prodotto in larga parte da un ceto di esperti professionalmente dedito per secoli a quella attività.
Nell’impronta genetica della mentalità romana più arcaica scopriamo distintamente presenti due elementi: la religione e il diritto. Col vissuto religioso, che ebbe probabilmente un ruolo determinante nella formazione stessa del più antico assetto cittadino, si combinò così fin dall’inizio un patrimonio mentale e culturale parzialmente diverso, che non tendeva alla produzione di culti o di esperienze magiche, ma alla costruzione lenta e stratificata di una rete di regole destinata a coprire tutti i più importante comportamenti sociali dei patres: il nucleo più remoto dello ius della città. La pronuncia dello ius fu subito rigorosamente riservata all’interno di una cerchia di sacerdoti: il collegio dei pontefici.; i pontefici risultarono i custodi e gli interpreti di tutte le più importanti riserve di conoscenze civili della collettività: con l’importante controllo sociale del tempo; delle sequenze formulaiche delle preghiere e delle invocazioni rituali agli dei; registravano gli avvenimenti più significativi nella vita della comunità, dalle carestie alle eclissi. Erano insomma i sapienti della città. Insieme e accanto ala rielaborazione degli starti più remoti della religiosità gentilizia i pontefici utilizzavano le stesse conoscenze per regolare attraverso la pronuncia dello ius i rapporti fra i diversi gruppi familiari all’interno della comunità. La creazione dello ius si fondava anzitutto sulla memoria dei mores, le antiche tradizioni di comportamento conservatesi entro i sistemi di parentela gentilizi. La manipolazione di questi ricordi avveniva combinando esperienze sociali e immaginazione religiosa. Essa si manifestava sotto forma di risposta dei pontefici, secondo modalità oracolari, a domande che i paters chiedevano in circostanze particolari cosa fosse ius: quale fosse cioè la condotta gestuale e verbale da tenere perché le azioni di qualcuno risultassero idonee, rispetto agli altri capifamiglia e agli dei, per il raggiungimento di determinati obiettivi nelle relazioni fra i gruppi. Si formava così il modello del responsum un tipo di comunicazione autoritaria di grande rilievo nella vita della città arcaica che attraverso infiniti adattamenti sarebbe diventato uno dei paradigmi più solidi del sapere giuridico romano. Rispondere alle domande dei paters che li interrogavano divenne un compito sempre più ineludibile per i pontefici e la loro principale funzione nella città. Erano soprattutto il meccanismo della patrilinearità dell’appartenenza della terra, della reciprocità e dello scambio, sia matrimoniale sia di beni ad avere bisogno della protezione delle risposte pontificali: come fare testamento, allineare o acquistare una res in mancipio, disciplinare le contiguità nello sfruttamento della terra, stringere un obbligo, regolare conseguenze patrimoniali e potestative in occasione di matrimoni o morte. Si costituiva in tal modo una sapienza peculiare potenzialmente nuova: un diverso responsum per ciascuna domanda. La cognizione dello ius non affiorava altrove e non aveva altro senso se non nel risolvere problemi immediati e concreti, nel rispondere ai bisogni della comunità.

Tratto da L'UOMO NELLA SOCIETÀ ROMANA di Alessia Muliere
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