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La condizione del contadino nella città stato

Se per contadino intendessimo chi lavora personalmente la terra da lui posseduta, incontreremmo ben pochi contadini in molti periodi della storia. La proprietà non è una condizione necessaria per definizione: accanto ai contadini liberi, che coltivano la terra di loro proprietà, ci sono individui che coltivano la terra appartenente ad altri anche con prestazioni stagionali. La terminologia romana invita ad usare una terminologia ampia di contadino; il termine fondamentale era rusticus, forma derivata da rus (campagna) e contrapposta a urbs (città). Ma rusticus non è solo il contadino, è anche l’individuo semplice e modesto, oppure, in senso negativo, lo zotico, l’inurbano, l’incivile. Gli altri termini principali, si collegano a differenti aspetti della vita rurale:
- Agricola: esprime il contatto diretto dell’uomo con la terra; esso può esprimere tanto il contadino che lavora l’appezzamento di sua proprietà quanto il ricco possidente.
- Colonus: si adatta principalmente al piccolo agricoltore, ma può anche riferirsi ai membri dell’aristocrazia senatoria equestre; oppure indica l’abitante di una colonia, romana o latina che riceve un appezzamento da coltivare, o un contadino affittuario. Generalmente era colui che coltivava un appezzamento altrui fornendo al proprietario un corrispettivo in denaro. Le prestazioni del colonus venivano determinate in due modi: o erano obblighi a versare (in denaro o in natura) una quantità fissa del raccolto, oppure si impegnavano a versare una quota variabile in rapporto al valore del raccolto stesso. Tradizionalmente i contadini vivevano nel mondo chiuso dell’autosufficienza, si collocavano ai margini dell’economia mercantile, limitandosi vedere i prodotto dei loro poderi. Proverbiali sono la povertà e il modo di vivere primitivo dei contadini. La società romana del periodo regio e alto repubblicano era una società contadina, anche se si può iniziare a parlare di contadini solo quando si manifestano le prime occupazioni non agricole. La separazione del gruppo dei ricchi possidenti va collocata alla dura lotta tra patrizi e plebei e alla conquista romana dell’Italia, che portò alla confisca di gran parte dei territori delle popolazioni vinte: le aree confiscate entravano a far parte dell’ager pubblicus populi Romani, di cui ne beneficiarono soprattutto i senatori dando inizio alla formazione della grande proprietà. Nel II secolo a.C. si verificarono cambiamenti fondamentali nella condizione della classe contadina, in conseguenza delle grandi conquiste mediterranee. Il processo portò a una fondamentale modernizzazione delle strutture sociali ed economiche. Nelle regioni centrali e meridionali la piccola proprietà contadina entrò in crisi, mentre si rafforzò la media e grande proprietà basata sul lavoro schiavile. Le cause di questa crisi vanno imputate anzitutto al servizio militare che allontanava i contadini dai campi e li teneva a lungo fuori dai confini dell’Italia. Se il pater familias restava a lungo fuori, la sa azienda rischiava di fallire per mancanza di controllo. Inoltre quando tornava era ormai disabituato al lavoro nei campi. La popolazione agricola veniva risucchiata dai grandi poli dell’urbanesimo: la gente della campagna veniva impiegato nel lavoro edile; ma Roma attirava anche col suo stile di vita. Proprietari, salariati, braccianti, affittuari: i contadini romani erano un gruppo molto differenziato sotto tutti gli aspetti. Differenze accentuate della diversità delle situazioni locali. Ma la complessità del quadro si accompagna alla sostanziale unità di una classe costituita da individui la cui sopravvivenza dipendeva comunque dal lavoro dei campi.

Tratto da L'UOMO NELLA SOCIETÀ ROMANA di Alessia Muliere
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