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Le due categorie di banditi


Ad essere banditi potevano essere molti tipi differenti di persone, ma due sono le categorie caratteristiche:
1)    Il soldato

Per tutta la durata della loro vita i soldati erano addestrati professionalmente alla violenza, essi detenevano nelle loro mani il potere della vita e della morte. Il problema da analizzare è quando questo potere veniva da loro esercitato legittimamente o no. Il soldato di professione era sempre un potenziale bandito; era la sanzione dello stato a fare la differenza; generalmente si trattava di veterani corrotti o disertori fuori legge: anziché coltivare la terra (spesso molti non ne avevano le capacità) o investire in affari onorevoli e onesti (c’era chi non aveva abbastanza soldi da investire) - queste erano le possibilità riservate ai soldai in congedo - alcuni preferivano non cedere le armi, nella previsione di guadagnare bene continuando ad usare le propri doti militari finalizzate alla rapina.

2)    I pastori

Il loro caso esemplifica meglio un fenomeno diverso, più costante tra quelli che stanno alle origini del banditismo: l’esistenza di intere regioni e popoli che per la loro stessa posizione geografica e per il modo in cui si svolge la loro vita economica si trovavano al limite di una vita di brigantaggio. I pastori, spesso schiavi di proprietari terrieri dediti all’allevamento transumante su larga scala, vivevano in gruppi lontano dalle grandi città che rappresentavano i centri del controllo da parte delle autorità; in più per lungi periodi dell’anno erano in marchia con i loro greggi e quindi fuori dal controllo immediato del proprietario. Se si collega questa libertà di fatto dei pastori alla loro necessità di essere robusti e armati abbastanza per poter proteggere i loro greggi, ne risulta una situazione in cui ognuno di essi poteva sfuggire piuttosto facilmente al controllo del proprietario. Conquistata l’indipendenza dal padrone, il pastore poteva usare le proprie capacità sia per difenderla sia per vivere alle spalle degli altri. In realtà la linea divisoria fra le due cose veniva attraversata con tale facilità che gli schiavi-pastori furono la forza trainante di alcune tra le più gradi rivolte di schiavi documentate in tutta l’antichità, che scossero l’Italia meridionale e la Sicilia negli ultimi 40 anni del II secolo a.C. L’attraversamento di questa linea era frequente a tal punto che l’identificazione pastore=latro divenne assai comune nella letteratura romana. Lo stato romano davanti ai pericoli del banditismo reagiva a seconda delle capacità e della volontà che varia da regione a regione; esiste infatti una netta distinzione fra quelle regioni o province in cui erano di stanza guarnigioni molto consistenti che potevano essere impiegate dal governatore in operazioni di repressione dei banditi, e quelle in cui la presenza dell’esercito era scarsa e dove il governatore doveva ricorrere a altri mezzi (es. cacciatori di banditi). Quindi le capacità del governatore e delle comunità di far fronte alle scorrerie di briganti dipendeva in maniera diretta dall’intensità dell’azione di polizia svolta in sede locale. Il trattamento riservato dalla legge ai banditi pone il problema del modo in cui lo stato li considerava in relazione ai criminali comuni; questi ultimi erano ritenuti uomini liberi e cittadini; i banditi invece non erano né soggetti di diritto civile, né nemici dello stato, ma qualcosa di intermedio; a loro non si imputava nessuna delle norme di tutela e di quelle procedurali accordate in genere ai normali criminali ma era loro riservata la peggiore pena capitale che lo stato romano potesse infliggere: sbranati dalle belve, bruciati vivi o crocifissi (questo per via della gravità dei carmini da loro commessi: rapimento, abigeato, furto con violenza).

Tratto da L'UOMO NELLA SOCIETÀ ROMANA di Alessia Muliere
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