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L' attività militare dei cittadini romani

L' attività militare dei cittadini romani


Essenziale era il ruolo militare dei cittadini romani. L’esercito romano fu in origine e fino al II secolo a.C. una milizia cittadina reclutata anno per anno per una determinata campagna e se possibile congedata in seguito. Il soldato riceve un soldo che non è un salario ma un’indennità, il cui ammontare è assicurato dalla riscossione del tributum, imposta diretta sulla ricchezza pagata dagli individui che possono essere mobilitati; imposta che, anch’essa, è legata alle circostanze, non permanente ed è anche rimborsabile (se il bottino lo permette). È questo un sistema semplice ma molto strutturato ed economico. In linea di massima vengono chiamati alle armi propriamente i più ricchi. Specie in seguito la guerra annibalica, si combatte sempre più una guerra oltremare: da ciò deriva la comparsa di fatto di eserciti permanenti, l’estensione della durata reale del servizio e la tendenza di ricorrere al più possibile al solo volontariato. 
Un volontariato che può essere sufficiente solo se si rivolge ai più poveri e se offre delle speranze di compensazioni finanziarie, se la guerra diventa cioè redditizia; di qui la spirale di un esercito permanente, sempre più professionale, sempre più proletario e di una politica sempre più imperialista. Non si tratta di un esercito di mercenari (Roma impiega dei non Romani, ma sulla base delle sue alleanze, essa non li compra e fino all’epoca imperiale sarà un esercito di soli cittadini), neppure propriamente di un esercito di mestiere, tale comparirà solo formalmente con l’Impero. 
Non meno notevoli gli squilibri finanziari generati da tali cambiamenti; essi sono di due tipi: anzitutto i successi esterni permettono a partire dal 167 a.C. di sospendere la riscossione dell’imposta diretta; ma nell’immediato erano i ricchi (i soli a pagare l’imposta) a guadagnarci: essi combattevano meno e pagavano meno. Ma i poveri invece erano sempre più sollecitati e costretti a rispondere alla chiamata, senza peraltro ricevere alcun vantaggio dalla soppressione del tributum. In secondo luogo la legge frumentaria introdotta da Gaio Gracco nel 123. Si trattava di assicurare ai cives la semplice possibilità di acquistare a prezzo fisso e ridotto una quantità minima di frumento, a spese del Tesoro. Anche in questo caso si pongono molti problemi, in particolare quello di sapere se sin dall’inizio, questo previlegio fu limitato di diritto o di fatto ai soli abitanti dell’Urbs. Tre quarti di secolo più tardi con la Lex Clodia del 58 a.C. ciò accadeva certamente; i liberti erano ammessi alle distribuzione interamente gratuite. Ma anche qui il legame esatto con la polarizzazione dell’esercito non è evidente poiché a questo stadio sono piuttosto dei non soldati, non mobilitabili e certo non ansiosi di servire l’esercito, che approfittano del loro tesoro. Per i soldati realmente in servizio altri meccanismi si mettono più o meno in atto. La distribuzione individuale del bottino (nel corso della campagna e nel giorno del trionfo) e la distribuzione di terre ai veterani; questa istituzione, per quasi un secolo dal 103 a 13 a.C. fu una sorta di cancro per lo stato
e una delle ragioni della sua rovina. Da un lato la quantità di terre pubbliche disponibili si assottigliava dall’altro il senato insabbiava spesso le pretese dei generali per il loro soldati o li faceva attendere a lungo. Di qui uno degli effetti delle guerre civili: procurarsi delle terre per distribuirle ai soldati vincitori. I trasferimenti di proprietà così operati su vasta scala sono stati uno degli elementi della rivoluzione romana: la loro entità si può valutare a partire dalla decine di migliaia di veterani sistemati da Silla dopo le sue proscrizioni. Nel 13 a.C. Augusto decise si sostituire, per il congedo dei soldati, le distribuzioni di terre con quelle di denaro: nacque il sistema imperiale.

Tratto da L'UOMO NELLA SOCIETÀ ROMANA di Alessia Muliere
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