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I mutamenti nell'arte, '800

I mutamenti di gusto interessano persone diverse, in tempi diversi, in modi diversi. Oggi l’accessibilità è un dato essenziale, ma di per se stesso non determinante. Gli affreschi di Piero della Francesca, le pale d’altare di van der Weiden sono stati visti, e ignorati, per secoli. I musei possono contribuire ad attirare l’attenzione su particolari opere d’arte, ma a loro volta sono in larga misura l’espressione e il prodotto delle forze che li generano. Nessuno per es., quanto meno fino al 1850, avrebbe potuto coltivare in una spiccata inclinazione
per i primitivi italiani, o una predilezione per la pittura francese del Settecento, basandosi su ciò che aveva modo di osservare in qualsiasi museo di Inghilterra. Per contro le esposizioni sono suscettibili di attirare maggiore attenzione. Il loro carattere di temporaneità e la pubblicità che irradiano, possono conferire loro cospicua portata. Per più di un secolo le sale d’asta avevano svolto molte funzioni attinenti alle mostre temporanee. Nondimeno, data solo dal 1815 la prima esposizione londinese, non permanente e non commerciale, di dipinti di antichi maestri di altre nazionalità: nel genere cioè che oggi ci è oltremodo familiare. Ma da allora accade raramente che trascorresse un anno senza che maturasse qualche evento analogo: anzi, le esposizioni di pittura antica finirono con l’essere considerate una sorta di specialità inglese. Inizialmente furono istituite nei locali della British Institution, un’organizzazione fondata 10 anni prima allo scopo di promuovere l’arte contemporanea inglese. I direttori, perfettamente consapevoli della potenziale conflittualità tra vecchio e nuovo, tra arte straniera e arte nazionale, si affannarono a spiegare come la vista di tanti capolavori potesse riuscire per i pittori viventi della massima utilità, dal momento che nessuna galleria nazionale era stata ancora istituita. Al pari delle mostre successivamente organizzate alla British Institution, anche questa venne allestita utilizzando all’uopo quadri prestati da privati (quelli della generazione Orleans) formatasi in base ai canoni estetici invalsi nel corso del secolo XVIII. Ma nel 1848 uno shock attendeva il visitatore. Nel salone centrale trovava collocazione qualcosa che gli allestitori descrissero come una novità cui non possiamo non far cenno, ossia una serie di dipinti risalente all’epoca di Giotto e Van Eyck.
Sarebbero tuttavia trascorsi parecchi anni prima che a Londra maturasse un’ulteriore occasione di vedere altre opere appartenenti alla più antica scuola pittorica, sia pure con un’eccezione di notevole rilevanza. La presenza di dipinti originali in una collezione privata, in una chiesa, in un palazzo, in un museo o in un’esposizione temporanea, la loro distribuzione in base a criteri cronologici, di nazionalità o di puro capriccio, la loro appartenenza a un prelato, a un socialista, a uno studioso o un’esponente della nobiltà sono altrettanti fattori suscettibili di influire sull’effetto prodotto dai quadri stessi in misura più sensibile di quinto si ammetta.

L’influenza delle nuove tecniche di riproduzione e del linguaggio nella diffusione di opinioni nuove sull’arte e sugli artisti


Tuttavia, fino a epoca recente, le occasioni di vedere le opere originali erano relativamente limitate, e la stragrande maggioranza della popolazione, ivi inclusi quanti avevano diretta e personale attinenza con l’arte, doveva accontentarsi delle riproduzioni e della parola scritta. Non è il caso di sottovalutare gli effetti esplicati, nella guida del gusto in senso lato, da queste due forme di comunicazione indiretta, e gli intenditori d’arte del secolo scorso ne erano perfettamente consapevoli. All’apparire di ogni nuova tecnica figurativa – dalla litografia alla xilografia, dall’incisione alla fotografia – il dibattito dei suoi meriti in rapporto alle atre si faceva più intenso e vibrante. Ma furono tuttavia le guide turistiche, più che le riviste e i periodici, a influire nella misura più avvertibile sulla visuale del pubblico.

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