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L’abuso di posizione dominante: l’art. 3 legge 287/90


L’art. 3 l. 287/90 vieta l’abuso di posizione dominante all’interno del mercato rilevante.
Per posizione dominante si intende quella posizione di forza economica che consente all’impresa che la detiene di tenere comportamenti indipendenti rispetto ai concorrenti e ai consumatori.
Detenere una posizione dominante non è vietato in sé ma solo il suo abuso è punito dalle norme antitrust.
Per ragioni analoghe sono vietate anche le concentrazioni tra imprese che possono creare una posizione dominante: le operazioni di concentrazione sono perciò soggetti ad un controllo preventivo dell’AGCM.
Presupposto della fattispecie è l’individuazione di un mercato rilevante.
L’AGCM ha individuato come criterio fondamentale la sostituibilità del prodotto dal lato della domanda e questa delimitazione serve a individuare l’area in cui opera l’impresa.
Determinato il mercato si cercherà di individuare se una o più persone detengono una posizione dominante e se esiste abuso che è esemplificato in una serie di casi:
imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose;
impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori;
applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;
subordinare la conclusione dei contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che non abbiano alcuna connessione con l’oggetto dei contratti stessi.
La definizione di impresa rilevante ai sensi della l. 287/90 non coincide con quella di imprenditore di cui all’art. 2082 c.c., perché riguarda ogni soggetto, che svolge attività economica, in grado di ridurre la concorrenza nel mercato (nozione di tipo funzionale).
Le disposizioni della legge si applicano sia alle imprese private che a quelle pubbliche o a prevalente partecipazione statale, mentre non si applicano alle imprese che, “per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse economico generale ovvero operano in regime di monopolio sul mercato, per tutto quanto strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro affidati”.
A differenza dell’art. 2 che dispone la nullità dell’intese, nell’art. 3 non è indicata una sanzione specifica.
L’AGCM istruisce e, alla fine dell’iter procedimentale, emette sanzioni amministrative pecuniarie.
Contro le decisioni dell’Autorità Garante si può ricorrere al TAR e al Consiglio di Stato.
Vi è anche una competenza concorrente del giudice ordinario (e in specie della Corte d’appello) a conoscere le azioni di nullità, risarcimento del danno e ad emettere provvedimenti di urgenza in relazione alle violazioni delle disposizioni della legge.

Tratto da DISCIPLINA GIURIDICA DEI CONTRATTI di Stefano Civitelli
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