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La guerra deceleica e la sconfitta di Atene (413-404)

Le ripercussioni della disfatta siciliana furono immediate: dato che Atene aveva violato il tratto e perso l’esercito Sparta riprese immediatamente le ostilità e, consigliata da Alcibiade, trasformò una piccola località dell’Attica, Decelea (da qui il nome di guerra deceleica riferito a quest’ultima fase del conflitto), nel suo quartier generale fortificato, dal quale poteva tenere con facilità Atene praticamente sotto assedio costante. Nello stesso tempo, sapendo che gli ateniesi aveva perso la flotta, le polis della Lega di Delo si dichiararono in massa indipendenti da Atene, che iniziò così ad avere serissimi problemi di rifornimento di tutti i generi indispensabili, nonché di tributi. Era una situazione difficilissima, che divenne addirittura disperata non appena il re di Persia (consigliato da Alcibiade che si era rifugiato presso di lui scappando da Sparta, dove era stato scoperto a letto con la moglie del re reggente), approfittò dello sfaldamento della Lega di Delo per allearsi con gli spartani in funzione antiateniese, ottenendo da questi in cambio la possibilità di annettersi le città della Ionia. Era il ‘gran tradimento’: a meno di cento anni dalla fine della seconda guerra persiana dei greci si alleavano ai barbari contro altri greci.
Intanto ad Atene si respirava il clima arroventato e disperato che sempre una collettività umana sperimenta quando si trova accerchiata da soverchianti forze ostili. Il partito aristocratico accusò quello democratico di aver intrappolato lo stato in una guerra disastrosa e guidò una rivolta con la quale impose un tale terrore che l’Assemblea cittadina votò la fine del regime democratico, affidando i pieni poteri ad un Consiglio di 400 membri scelti dai rivoltosi. Ma quest’organo ebbe vita breve perché un manipolo di conservatori stessi, guidati dall’aristocratico Teramene, organizzarono un colpo di stato con il quale sostituirono il Consiglio dei quattrocento con un Consiglio dei Cinquemila, cercando di costituire una sorta di “governo di unità nazionale“ assieme ad esponenti democratici. Ma a questo punto fu lo stesso demos a ribellarsi, esigendo il ripristino della piena democrazia e la prosecuzione della guerra, consapevole che se Atene avesse perso l’impero essi avrebbero perso lo stipendio (poiché solo governando su di un impero le masse povere ateniesi potevano tornare all’opulenza che aveva caratterizzato l’età di Pericle). Prese dalla disperazione le masse chiamarono a governarle Alcibiade, confidando che le sue infinite trovate potessero ancora una volta compiere il miracolo (410). Tuttavia mentre questi saccheggiava la Caria per racimolare fondi, l’ammiraglio Antioco non resisteva alla tentazione di attaccare la nuova flotta che gli spartani avevano allestito grazie agli aiuti economici persiani, riportando però una netta sconfitta, della quale fu ingiustamente accusato Alcibiade, che fuggi all’estero. Disperati gli ateniesi fusero tutte le statue della città e costruirono l’ennesima flotta, riuscendo anche a vincere contro gli spartani alle Arginuse nel 406. Ma l’anno successivo, a largo di Egospotami, subirono la sconfitta definitiva, perdendo l’intera flotta e con essa ogni possibilità di salvare le sorti del conflitto (vedi mappa pag. precedente). 
Atene fu cinta d’assedio per tre mesi dalle truppe del re spartano Lisandro, che bloccarono la città sia per terra che per mare, quindi si arrese finalmente nel 404. Tebani e corinzi, da sempre implacabili nemici di Atene, ne avrebbero voluto la distruzione, ma gli spartani, nobilmente, non vollero permettere la rovina della più splendida città greca, di cui ancora ricordavano il merito nello sconfiggere i persiani, e non permisero che la città fosse toccata. Le condizioni di pace però furono dure: Atene avrebbe dovuto demolire le lunghe mura, rinunciare alla flotta e all’impero, abolire la costituzione democratica, ed entrare nella Lega del Peloponneso come stato satellite, impegnandosi di conseguenza ad aiutare Sparta in qualsiasi guerra essa avrebbe potuto intraprendere in futuro.

Tratto da STORIA DELLA GRECIA ANTICA di Lorenzo Possamai
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