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Il Marchio e la marca in pubblicità


La pubblicità degli ultimi decenni riguarda (qualitativamente/quantitativamente) la marca piuttosto che i singoli prodotti e servizi. Marchio, logo, nome proprio caratterizzato da una morfologia precisa (lettering, colore, particolare grafismo), la marca funziona come la firma, autentica l’oggetto, lo lega al valore. Spesso viene falsificata, sia in modo evidente per il compratore che la compra lo stesso, anzi le usa per ingannare chi lo osserva, sia in modo ingannevole, anche se più raramente. Tutti i fenomeni di marca lavorano grazie a isotopia testuale di un certo nome proprio e delle sue componenti sui piani dell’espressione/contenuto (rosso Vodafone, lettering Coca-Cola, “naturalità” Mulino Bianco). Isotopia è il ritorno ostinato di elemento testuale, concetto, tratto significante, che nei testi pubblicitari si organizza intorno agli elementi della marca. L’ipertestualità deve essere contemporaneamente sincronica (contemporanea al prodotto) e diacronica (deve sedimentarsi nel tempo, deve essere percepita come una cosa che è così da sempre per rendere credibile la sua garanzia) e questo rende teoricamente difficile il lancio di nuovi prodotti o restyling. La marca serve a rendere meno impersonale il prodotto che non è più fatto a mano da un artigiano, ma prodotto in serie, quindi “orfano”; si colma la lacuna del contenuto (un prodotto senza personalità o simile ad altri sarebbe intercambiabile con quelli della stessa specie) e la alcuna dell’autore/padre (che gli dà fisionomia e ne assume la responsabilità). Solo con la garanzia della marca si instaurano abitudini di consumo/fidelizzazione che il produttore può sfruttare per immettere nel mercato nuovi prodotti (brand stretching).

Tratto da SEMIOTICA DELLA PUBBLICITÀ di Priscilla Cavalieri
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