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Gli strumenti inventariali della ricerca archivistica

Gli strumenti inventariali della ricerca archivistica


Un nodo di fondo con cui si è dovuto più volte incontrare e scontrare chi si occupa di archivi è quali sono gli strumenti più adatti per far conoscere e usare come memoria-fonte documentazione prodotta e organizzata per altri scopi. È un nodo in cui si intrecciano non poche problematiche ricorrenti nella dottrina e nella pratica archivistica. Ne ricordo alcune: quali siano i modi che nel visualizzare i materiali che, a differenza di altri non sono stati prodotti per essere visibili, consentano di avvicinarsi, senza procedere a tentoni e senza
smarrirsi, alle più o meno complesse realtà documentarie del passato e del presente nascoste dentro gli archivi; quali siano gli strumenti che, al contrario di quelli redatti, per uso interno e per poche persone, possono meglio soddisfare esigenze storico-culturali proprie di chi opera all’esterno; quali siano le priorità da seguire nel compilare strumenti di mediazione tra la documentazione e chi vuole conoscerla; se è preferibile dare prima quadri sintetici e generali di tutti i fondi che si conservano e poi passare a inventari più esaustivi e specifici o anche a descrizioni analitiche di particolari documenti, o seguire il cammino inverso; se accontentarsi di strumenti provvisori e in fieri che
facciano conoscere, sia pure in modo approssimativo, le complessive realtà archivistiche o puntare su strumenti precisi e rigorosi, pressoché definitivi che possano essere redatti solo dopo un attento studio delle carte e dell’istituzione che le ha prodotte. In breve: quali, come e per chi sono da progettare e realizzare gli strumenti inventariali. Il concreto lavoro d’archivio è connesso al sapere dottrinario e pratico-operativo di chi lo svolge, ai diversi approcci e interessi delle varie tendenze storiografiche nei confronti delle fonti scritte, ai più vasti contesti politici, culturali e sociali, che hanno contribuito a modificare il ruolo degli istituti conservativi, il pubblico che frequenta e le domande che ad essi vengono rivolte. Lungo la seconda metà dell’800 tutti gli istituti archivistici, nel prendersi cura della memoria documentaria in essi concentrata, tennero soprattutto presenti le esigenze, d’uso delle tendenze di ricerca connesse all’erudizione storica del tempo. Il lavoro d’archivio fu infatti notevolmente influenzato dalla predilezione nutrita per l’antichità e il medioevo, dalle deputazioni e società di storia di patria; queste, veri e propri centri di aggregazione culturale, costituivano in quel periodo la principale struttura organizzativa degli studi storici; fu il progetto di fondo della storiografia erudita e del lavoro archivistico. Critiche anche severe sulla scelta di questo progetto e sulle realizzazioni conseguite sono state in seguito avanzate sia dalla letteratura storiografica sia da quella archivistica. Quest’ultima ha messo in rilievo come la mancanza o l’accantonamento di autonomi programmi di lavoro e la collaborazione prestata a quelli sostenuti da altre istituzioni culturali abbiano portato a pratiche inventariali quasi sempre frammentarie, tese a privilegiare porzioni limitate, nonché tipologicamente e cronologicamente circoscritte, della documentazione conservata presso i singoli istituti. In generale nella seconda metà dell’800 il lavoro d’archivio fu notevolmente condizionato da modi tramite i quali si erano nel passato accumulati i complessi documentari, che costituivano la peculiare fisionomia documentaria dei singoli istituti.

Tratto da GLI ARCHIVI TRA PASSATO E PRESENTE di Alessia Muliere
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