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Il nichilismo del fare, anni '80

Il nichilismo del fare, anni '80


La produzione come nichilismo del fare, come prassi metodologica di conquista economica e sociale, acquisisce una grande importanza già nei primi anni ’80. Il nichilismo del fare è quasi una prassi ideologica se vista nella condizione postmoderna, perché garanzia dell’utilità funzionale dell’esistenza. In altri termini, l’ideologia sottesa al prodotto, così come ha insegnato la massificazione estetica della Pop, inciampa nel substrato produttivo delle idee e si creano le condizioni sociali perché ad una massificazione della creatività, e quindi all’ideologia del fare, non si affianchi una probabilità del risultato funzionale del prodotto. Il fare dell’arte infatti rimane slegato come fatto sociale e rappresenta la diversificazione alla funzionalità della società post industriale. In questo controsenso la dottrina del postmoderno ha costruito la dialettica delle diversità, la complessità dell’interpretazione sino a giungere alla parificazione dell’interpretazione e quindi al nulla significativo della critica. L’arte diviene il concentrato di un’ideologia, priva di comunicazione che non sia la sua stessa esistenza. Il postmoderno diviene una sorta di traino ideologico nella configurazione dell’arte come attività illogica ma connaturata al sistema di produzione funzionale; è l’identificazione del sistema sociale come prodotto della realtà a cui nessuno può sottrarsi. L’arte diviene un organo di trasmissione fra l’ideologia dell’arte moderna e l’ideologia dell’esistenza artistica. L’ideologia quindi è il buco nero del limbo postmoderno.

Tratto da AVANGUARDIA NEL PRESENTE di Alessia Muliere
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