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L’appropriazione postmoderna dell’estetica


L’appropriazione postmoderna è una sorta di autodifesa dell’arte al potere: appropriarsi dell’estetica del tempo, farne una strategia di potere per riuscire a controllare la mummificazione della fattualità concretizzata in opere. Attraverso l’ideazione del fare l’artista contemporaneo deve farsi tramite di una cosciente identità esistenziale, attuando quella strategia mentale che nel potere da vita alla sua ciclicità. Il mercato ha istituito una sua ufficialità attraverso l’identificazione di un’arte critica riflessa in se stessa, esibita e curata criticamente, nelle rassegne ufficiali scientificamente corrette. Il mercato contestuale del postmoderno ha precisato i suoi compiti nel sostenere le forme d’arte come estremo limite oggettuale di se stesso, come status eccellente in uso presso Trust o Corporations, che hanno favorito il loro apparire attraverso sistemi di merchandising calibrati attraverso strategie di marketing, danno quindi dimostrazione della loro tronfia potenza. L’arte ha favorito una sua identità come enfasi del mercato, divenendo una afasia logica in quanto mancanza di cognizione dell’esplicito messaggio, camuffato da contenuti altri per mascherare la sua ragione d’essere. Naturalmente il mercato ha favorito un’arte che più di altre cercava e intendeva la sua forza nella realizzazione esclusiva come oggetto privilegiato nella formulazione culturale, come l’istituzionalità, la ricerca ufficializzata, le grandi mostre perentorie e istituzionali. L’identità dello stile è anche nella possibilità di trasformare il contenuto della forma in altre forme dimostrabili indipendentemente dalla loro lateralità. Il momento storico permeato da un precisa logica di poetre, su cui si incentra l’estetica del postmoderno avanzato, fondato sull’identità del dominio economico non ha sempre la capacità di resistere alla volontà di rinnovamento imposta dal mercato stesso. Il mercato del sistema postmoderno ha infatti motivato le sue qualità sull’idea dell’originalità, l’unicità del prodotto artistico, una sorta di stilema che esibisce l’artefatto e dà una connotazione particolare all’individuo creativo. In questo modo quando una artista deve procedere nel suo percorso non può dirigersi in un cammino evolutivo variegato ma deve, per essere riconosciuto dal sistema del mercato, rimanere ancorato ala produzione, ancorato a un modello simbolico di questa come momento particolare del mercato. Questo è vero anche se a uno sguardo storico appare definibile un’ulteriore identità postmoderna in cui ciascun artista ha potuto inserire all’interno di una logica delle idee anche la possibilità di trascendere l’immagine per una più corposa congerie di stilemi.
L’artista può e deve necessariamente percepire quali siano i sintomi del cambiamento ma non può e non deve cambiare la sua funzione estetica predominante perché questo significherebbe sabotare la sua stessa identità produttiva. Egli è costretto tra necessità di rinnovamento del mercato e necessità stilistica del prodotto per cui deve farsi nominalmente garante di una sua funzione individuale all’interno del sistema. Da questo si può determinare allora l’identità dell’afasia estetica nell’azione creativa di sintesi: essa si manifesta preterintenzionalmente nella perdita di senso compiuto attraverso l’oggettualità della funzione per via di una forte analisi critica interiorizzata individualmente. L’afasia critica in sostanza privilegia l’identità della critica piuttosto che non l’identità dell’arte.

Tratto da LA CURA CRITICA di Alessia Muliere
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