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Semiotica figurativa e semiotica plastica, Lucia Corrain

Semiotica figurativa e semiotica plastica, Lucia Corrain


Nello stesso saggio Semiotica figurativa e semiotica plastica, che la Corrain ritiene testo di riferimento essenziale, Greimas scrive, a proposito delle rappresentazioni iconiche, che "il concetto di riconoscimento dipende dal problema più generale della leggibilità del mondo detto naturale", ma dal momento che a questo livello immediatamente naturale noi non riusciremmo a riconoscere neppure degli oggetti come tali – visto che "il tratto semantico oggetto" sarebbe, per il semiologo francese, "interocettivo e non esterocettivo e non è iscritto "naturalmente" nell’immagine primaria del mondo" – se ne dovrebbe concludere che la riconoscibilità dipende dalla "griglia di lettura umana del mondo". A questo punto "è forse superfluo precisare – parole di Greimas – che, essendo di natura sociale, questa griglia è sottoposta al relativismo culturale" e che "essendo ogni cultura dotata di una "visione del mondo" a lei propria, essa pone anche delle condizioni variabili al riconoscimento degli oggetti". A parte la solita fallacia prospettivistica, per cui si riesce a discriminare che cosa non è iscritto nell’immagine naturale del mondo anche se, per ipotesi, non dovremmo poter mettere il naso fuori dalla griglia, si capisce che a queste condizioni "parlare di iconicità non ha più molto senso". È da vedere se simili presupposti filosofici siano in effetti conciliabili con le posizioni di Schapiro. Alcune delle sue osservazioni sembrano rispondere con chiarezza a tipiche questioni di orientamento semiotico-culturalista. Trattando, ad esempio, delle qualità espressive dei rapporti tra "campo" e "figure" egli precisa che "le dimensioni delle cose in un quadro esprimono una concezione che non richiede alcuna conoscenza di regole per poter essere compresa", e anche laddove "i valori gerarchici sono più decisivi dell’effettiva grandezza fisica degli oggetti rappresentati" si può dubitare "che si tratti di un fatto convenzionale, dato che la predominanza della figura umana sull’ambiente fa la sua comparsa, in modo indipendente, nell’arte di molte culture". Si direbbe anzi che per Schapiro proprio le qualità espressive del campo – che in termini greimasiani afferirebbero ad una "griglia topologica" – abbiano una genesi tutt’altro che esclusivamente storico-culturale e si radichino in quella che egli chiama "una criptoestesia"). Il fatto poi che su questa base possano innestarsi usi di tipo convenzionale "non vuol dire che la qualità significativa delle varie parti del campo e delle varie grandezze sia arbitraria: si costruisce invece su un senso intuitivo dei valori vitali dello spazio, fondato sull’esperienza del mondo reale"; al punto che si potrebbe addirittura prevedere con sicurezza – come in effetti lo stesso Schapiro si sente di fare – che posti di fronte ad un analogo compito di organizzazione del campo artisti contemporanei adotterebbero le medesime soluzioni degli artisti medioevali, asserzione non so quanto verificabile, ma certo piuttosto forte.


Tratto da SEMIOTICA di Alessia Muliere
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