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La dinastia dopo la morte del Gran Khan Qubilay

Dopo la morte del Gran Khan Qubilay iniziò il declino dell’Impero mongolo. Le cause furono molteplici: in primo luogo era impossibile con i mezzi di comunicazione dell’epoca mantenere unito un dominio di dimensioni così vaste: le notizie impiegavano settimane o mesi per giungere da una sponda all’altra dell’immenso impero, e gli eserciti addirittura anni per spostarsi dalla Mongolia fino alla Persia o viceversa. In secondo luogo man mano che passavano gli anni, diventava sempre più grande il divario (e il conseguente contrasto) fra i principi imperiali ancora fedeli all’antico stile di vita mongolo, e quelli che, governando territori ad elevato livello di civilizzazione, avevano ormai cambiato abitudini e pensiero.

Oltre a questo, i vari imperatori che succedettero a Qubilay, non furono in grado di amministrare saggiamente la Cina, diventata sempre più importante per l’Impero. Essi si dimostrarono poco esperti e discriminarono eccessivamente i cinesi da un punto di vista giuridico e politico. Nonostante il tentativo di patrocinare l’agricoltura, ad esempio, i governi Yuan -privi della necessaria esperienza- finirono col ottenere risultati controproducenti. La loro stessa cura nella gestione delle rete viaria -la cui efficienza tanto impressionò i viaggiatori occidentali- aveva prodotto grande insofferenza presso i contadini, che non ne potevano più di essere chiamati a prestare il loro lavoro per la manutenzione di strade, dighe e canali. Anche la gentry, che pure aveva tratto dei benefici dalle riforme di Liu Bingzhong, era ormai insofferente verso i dominatori stranieri, che la avevano privata del suo ruolo di mediatrice fra i contadini e l’apparato statale. Insoddisfatti erano anche i commercianti, che si vedevano surclassati dai loro stranieri. Come conseguenza di questo malessere diffuso, a partire dall’inizio del 1300 scoppiarono nei territori cinesi numerose rivolte popolari. Di particolare ampiezza furono quelle che si verificarono in seguito alle grosse calamità naturali. Come quella del 1325, innescata da una grande carestia che avrebbe lasciato segni profondi di malnutrizione anche diversi anni dopo; e quelle in seguito all’inondazione dello Huang He nel 1351. 

Una differenza fondamentale è stata rilevata fra queste prime rivolte, e quelle che invece scoppiarono a partire dal 1350. Mentre le prime avevano carattere eminentemente spontaneo, erano guidate da gente del popolo o da capi di sette religiose e si scagliavano contro le classi agiate molto spesso senza distinguere fra cinesi e mongoli, quelle della seconda metà del secolo erano invece cappeggiate da vere e proprie organizzazioni segrete e risultavano attentamente pianificate. Decisivo fu poi il ruolo della gentry, che in quanto elite rispetto agli strati meramente popolari, si sentiva minacciata dalle rivolte della prima parte del secolo (e quindi aiutava le autorità governative a reprimerle), mentre funse da organizzatore per le seconde. Il risultato fu che le autorità mongole riuscirono a domare con facilità le prime, ma soccombettero con grande velocità alle seconde (anche perché frattanto il loro impero si era disgregato in tante satrapie indipendenti). 

A causa di ciò, nel 1368, le armate di Zhu Yuanzhang, un monaco buddista che era diventato capo di una delle maggiori rivolte, entrarono in Pechino quasi senza colpo ferire, mentre l’imperatore e il resto delle sue truppe fuggivano a Nord in direzione della Mongolia. La dinastia Yuan era deposta, la Cina tornava ai cinesi.

Tratto da STORIA DELLA CINA di Lorenzo Possamai
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