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Il regno del Principe Yan

Uno degli errori (? -non conosco la motivazione della scelta: il libro non ne parla) del regno di Zhu Yuanzhang fu quello di distribuire (fra il 1369 e il 1391) tra i suoi numerosi figli e nipoti, venticinque principati sparsi per tutto il paese. Fra essi erano emersi per il prestigio ed il potere militare il principato di Qin, il principato di Jin, e quello di Yan. Alla morte di Zhu Yuanzhang, nel 1398, fu chiamato a succedergli il nipote, Huidi. Quest’ultimo, appena salito al trono, tentò di ridurre il potere che erano andati accumulando i principi, ma il principe di Yan, che comandava le truppe della frontiera settentrionale gli si oppose contestandone l’autorità. si giunse subito alla guerra civile, che proseguì per quattro anni, finché nel 1402 Nanchino fu conquistata dalle truppe del principe e si perse ogni traccia di Huidi. Il principe di Yan si proclamò nuovo imperatore, assumendo per il suo regno il motto di Yongle. Il libro di testo adotta da questo momento la convenzione di identificare gli imperatori con il motto che essi davano al proprio regno e non attraverso il nome di canonizzazione. Questo è possibile perché eccetto la breve parentesi dell’imperatore Yingzong (il cui regnò subì un’interruzione di sette anni), tutti gli imperatori Ming e Qing adottarono un solo motto per tutta la durata del loro regno. 
Yongle si dimostrò in effetti particolarmente abile dal punto di vista militare, ma anche da quello organizzativo e politico. Pur rimanendo entro i tracciati già solcati dal padre, egli seppe innovare e riformare in maniera incisiva; anche in politica estera il suo contributo fu importante, tanto che alcuni storici lo ritengono come una sorta di secondo fondatore della dinastia Ming. Sotto il suo regno la macchina statale fu modificata in senso più pratico e gli esami resi più facili con l’introduzione di manuali, compendi e del sistema cosiddetto dei ‘saggi ad otto gambe’. Rilevante fu la scelta di trasferire la capitale da Nanchino a Pechino, che per l’occasione fu ampliata e abbellita con notevole dispendio di energie. Tale scelta tradiva da un lato necessità politiche: Yongle aveva il suo centro di potere personale nella regione settentrionale, e dall’altro la maggior attenzione ai problemi della difesa delle frontiere: quella settentrionale era da sempre la più minacciata. Ma la scelta di spostare la capitale a Pechino era anche gravida di svantaggi consistenti: mentre infatti Nanchino era in una posizione sicura, lontana dai pericoli, Pechino era raggiungibile attraverso una semplice incursione; oltre a questo Nanchino era vicina al grande centro agricolo ed economico dell’Impero, mentre Pechino doveva essere rifornita attraverso il Gran Canale. Tali svantaggi divennero evidenti nei decenni successivi, quando si sarebbe indebolito il sistema militare e i costi di rifornimento della corte e di manutenzione del Gran Canale, avrebbero iniziato ad alienare il sostegno del centro-sud alla dinastia. 
Ma è per l’interesse verso la politica estera che il regno di Yongle si contraddistinse in maniera fondamentale da quelli che lo avrebbero succeduto. Furono consolidati i rapporti di tipo tributario con molti regni vicini e confinanti (Corea, Ryukyu, Champa, Cambogia, Siam, eccetera) fin quasi all’arcipelago e alla penisola malesi. Nel 1407 fu riconquistato il Gran Viet, che da diverso tempo si era sottratto al dominio diretto imperiale. I cinesi sarebbero però riusciti a mantenere il loro controllo sul Vietnam solo fino al 1428. A Nord-est, nel 1410, le armate imperiali, guidate direttamente da Yongle, riportarono una grande vittoria contro i mongoli presso Ulan Bator nella Mongolia esterna orientale. La situazione tuttavia rimase sempre turbolenta nella regione, e così, nel 1422, fu intrapresa una nuova grande campagna militare che si concluse con l’istituzione di alcuni grandi protettorati militari per pacificare la grande zona del Nord-Est. Parallelamente ad occidente il lama tibetano si sottomise alla sovranità dell’Impero in cambio della riconoscenza da parte di quest’ul-timo del suo titolo di re (cioè in pratica l’autonomia di fatto). Ecco come doveva apparire l’Impero tenendo contro dei protettorati militari.  
Ma l’evento più sorprendente del periodo Yongle furono senza alcun dubbio i grandi viaggi di esplorazione marittimi, paragonabili a quelli che i portoghesi avrebbero compiuto verso la fine di quello stesso secolo. I viaggi, che rientravano in una più ampia operazione di espansione diplomatica e commerciale, dimostrano che gli europei iniziarono a sorpassare i cinesi nell’arte marinara solo verso al fine del XV secolo.
I viaggi si effettuarono in realtà sia via terra che via mare. Spedizioni per l’esplorazione geografica e politica dell’Asia centrale furono intraprese nel 1413, 1416 e 1420; anche il Tibet e l’India furono oggetto di incredibili missioni esplorative guidate dal famoso eunuco Hou Xian (1403, 1406, 1413, 1415, 1420, 1427). La più straordinaria impresa rimane comunque quella compiuta da un altro eunuco, Zheng He, vissuto dal 1371 al 1434. Egli guidò una serie di sette spedizioni navali che, dal 1405 al 1433, portarono una flotta di sessanta navi, con un equipaggio che comprendeva dai 20'000 ai 30'000 uomini, dal Mar Cinese Meridionale, all’Oceano Indiano, al Golfo Persico e al Mar Rosso. La spedizione visitò Champa, Giava, Sumatra, l’India meridionale, la Persia, la penisola araba e la Somalia, annotando le distanze geografiche e stabilendo relazioni diplomatiche e commerciali. In seguito le spedizioni esplorative furono interrotte senza un apparente motivo. Probabilmente i cinesi avevano confermato la loro antica idea, secondo la quale la civiltà decresceva man mano che ci sia allontanava dalla Cina stessa. In effetti l’ultimo avamposto della civiltà che essi ebbero modo di vedere fu la Persia: non potendo valicare Suez essi non riuscirono mai ad arrivare nel Mediterraneo e sia la costa araba che quella egiziana, viste dal Mar Rosso, appiano pressoché disabitate, e la costa africana della Somalia non doveva apparire molto più evoluta. Naturale che abbiano perciò supposto che non valesse la pena di spingersi oltre. 
La fine delle esplorazioni ufficiali non rappresentò comunque la fine del dominio cinese sui mari del sud-est. La flotta mercantile aveva ormai raggiunto un tonnellaggio senza eguali al mondo e i mercanti (ma anche i pirati) cinesi continuarono a detenere la supremazia dei traffici con Giappone, regni e isole del sud-est asiatico e, seppure in parte minore, anche India, praticamente fino alla costruzione dell’Impero coloniale portoghese verso la seconda metà del secolo successivo. 

Tratto da STORIA DELLA CINA di Lorenzo Possamai
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