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La contrarietà alla correttezza professionale


La clausola generale contenuta nell’art. 2598 n°3 c.c. sanziona, come si diceva, tutti gli atti “non conformi ai principi della correttezza professionale idonei a danneggiare l’altrui azienda” e pone il problema della sua “concretizzazione” con criteri di maggior specificità.
E’ illusorio cercare di raggiungere parametri di specificazione della categoria, tenendo conto del resto che ciò tradirebbe la sua principale funzione di consentire all’interprete di valutare i comportamenti dell’imprenditore alla luce dell’evoluzione dei rapporti economici e degli affari.
Conviene, piuttosto, rammentare sinteticamente alcuni dei principali atti di concorrenza sleale che la giurisprudenza ha sanzionato utilizzando il canone della correttezza professionale:
- lo storno dei dipendenti e dei collaboratori di un’impresa da parte di un concorrente, quando ciò avvenga con mezzi scorretti e per ledere deliberatamente un altro imprenditore;
- il dumping, consistente nel praticare prezzi di vendita sotto costo al fine di espellere il concorrente dal mercato;
- il boicottaggio, consistente nel rifiuto di contrattare con altri imprenditori anche qui al fine di espellerli dal mercato;
- la pubblicità ingannevole o menzognera;
- la violazione di altrui legittime esclusive contrattuali, ove avvenga con modalità scorrette;
- la c.d. concorrenza parassitaria che consiste nello sfruttare a proprio vantaggio gli investimenti che altra impresa ha compiuto nella programmazione e nelle scelte di mercato, seguendone appunto parassitariamente le mosse.

Tratto da DIRITTO COMMERCIALE di Stefano Civitelli
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