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Come conoscere se stessi e il divino



Questa è la seconda domanda che troviamo nell'Alcibiade. Cosa significa curarsi? conoscere se stessi. Compare una 3a accezione di gnothi seauton, la 2a era un problema metodologico. qui si allude al fatto che la cura di sè consiste nella conoscenza di sè. Pare che Platone reintegri tecniche arcaiche per subordinarle al principio dello Gnothi seauton, ossia tutte quelle cose van fatte per conoscere se stessi, ma anche solo nella misura in cui ci si conosce. G.s. ed e.h. si avviluppano, implicandosi a vicenda.
Occuparsi di sé = conoscere se stessi. Ma come ci si conosce? È l’anima a dover conoscere se stessa in Platone. Metafora dell'occhio: un occhio può vedersi nello specchio, ma anche nell'occhio di un altro simile. Condizione x conoscersi: identità di natura. ma l'occhio si scorge solo nel principio della visione = pupilla. Quindi l'anima può vedersi solo guardando verso un elemento che ha la sua stessa natura, ossia l'elemento che assicura il pensiero e il sapere. Tale elemento è l'elemento divino. Conoscere il divino è condizione per la conoscenza di sè. C’è un brano poi dove si dice che gli specchi migliori sono più puri e luminosi dello stesso occhio. Vedremo meglio la nostra anima osservandola in un elemento più puro e luminoso = Dio.
Condizione x la conoscenza di sé appare qui la conoscenza del divino. Per occuparci di noi dobbiamo conoscerci. E per conoscerci occorre guardarci in un elemento identico a noi, l’elemento divino: scrutare il divino per riconoscere se stessi. Colto il divino, l’anima risulterà dotata di saggezza, sophrosune, e solo ora potrà volgersi verso il mondo di quaggiù. Saprà ora comportarsi e distinguere bene e male. Occuparsi di sé ed occuparsi della GIUSTIZIA è la stessa cosa.

Tratto da ERMENEUTICA DEL SOGGETTO di Dario Gemini
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