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Il modello dell'educazione professionale

Il modello dell'educazione professionale



IL MODELLO DELL'EDUCAZIONE PROFESSIONALE: L'ALTRA EDUCAZIONE. Le società primitive o pre – politiche vedevano le mansioni artigianali, necessarie all'interno di diverse cerchie, come compiti indifferenziati, vale a dire che non esisteva una sorta di graduatoria di dignità sociale tra chi svolgeva diversi tipi di lavoro manuale.
In età greca arcaica la manualità gode di considerazione e rispetto anche se sin da allora, e fino al nostro Rinascimento, non ci sarà un chiaro confine tra arte e artigianato. Nel mondo epico dei poemi omerici l'artefice è qualcuno che coniugando opera e fantasia, abilità tecnica e passione, plasma la materia per ricavarne oggetti d'uso e strumenti di lavoro, e di questa attitudine sono partecipi sia dei sia uomini.
Solo a partire da Erodoto, nel V secolo a.C., si fa avanti l'idea che chi pratica un lavoro manuale sia meno cittadino degli altri. È evidente che i profondi cambiamenti culturali intercorsi vanno cominciando a produrre trasformazioni di mentalità, fino a maturare lentamente ma inesorabilmente il disprezzo per il lavoro manuale, precedentemente considerato, viceversa, una categoria sociale importante per la valutazione etica degli individui. L'instaurarsi di sistemi produttivi non più limitati al fabbisogno familiare, crea la necessità di definire più rigidamente le competenze di ciascuno, e quindi l'appartenenza a distinte categorie sociali. Si delinea più marcatamente il concetto di classe. I grandi proprietari terrieri si impadroniscono del governo e danno vita ad un'aristocrazia fondiaria. Tra impegni politici e quelli militari essi non hanno più tempo per le attività artigianali, che demandano a cittadini meno ricchi.
Il punto originario di stima per l'uomo lavoratore si capovolge totalmente, con il lavoro che perde progressivamente il proprio etico intrinseco, che riacquisterà solo dopo possenti movimenti di idee e molte lotte sociali, e solo in epoca moderna. Nella lingua greca, del resto, non esisteva neppure un vocabolo per esprimere la nozione generale di lavoro, né il concetto di lavoro come funzione sociale generale.
La pedagogia nel frattempo si è indirizzata sempre più a formare l'anèr politikòs, vale a dire l'individuo che agisce a beneficio della collettività; questa sua funzione più marcatamente politica la incoraggia a disinteressarsi completamente di ridare smalto al modello etico originario dell'uomo lavoratore, abbozzato come si è detto già da Erodoto, e prima ancora della mitopoiesi epica ed eroica. Chiaramente il discorso non è generale e varia più o meno sensibilmente da polis a polis; pensiamo ad esempio all'ergastèrion di Sicione.
La situazione romana è in parte diversa. Roma si affaccia tardi all'artigianato e quando i romani presero a impegnarsi loro stessi presero spesso esempio dai popoli che avevano conquistato, in maniera pedissequa. Giunti finalmente a concepire una attività di ricerca e didattica nel campo, svilupparono una fortissima ideologia del lavoro che verrà trasmessa attraverso i secoli, all'interno della categoria artigiana, indissolubilmente con gli insegnamenti peculiari delle distinte attività lavorative; sarà proprio essa a creare una compagine e a conferire una fisionomia culturale, anche se si tratta di una contro cultura.
L'associazionismo che si creava all'interno delle singole corporazioni (collegia) rafforzava l'ideologia di appartenenza , esaltava la coscienza di categoria, sanciva la codificazione di modelli formali e informali e tra essi campeggiò sempre il modello del magister, il maestro di bottega, il livello massimo a cui aspirava un artigiano.

Tratto da STORIA DELLA PEDAGOGIA di Gherardo Fabretti
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