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Giorgio Pasquali e la disciplina storica


Giorgio Pasquali nel 1964 affermava che: “la filologia non è né scienza esatta né scienza della natura, ma essenzialmente, se non unicamente, disciplina storica”. Pasquali stava riflettendo sulla differenza sostanziale tra le leggi della filologia e le leggi delle scienze naturali, una limitazione di campo già avanzata in clima positivista nel 1859.
Le leggi naturali sono necessarie, universali, eterne; le leggi filologiche sono empiriche e talvolta arbitrarie. Lo studioso della natura può limitarsi alla legge in sé e risultare indifferente agli oggetti e ai procedimenti ad essa sottoposti; al filologo interessano, invece, soprattutto i testi a cui le leggi si applicano; quei testi egli vuole intendere in quanto ermeneuta, godere in quanto esteta, ricondurre alla forma genuina in quanto critico, e da quei testi vuole ritrarre quanta più informazione è possibile in quanto storico.
I primi espedienti storicamente adottati dalla critica del testo sono collazione e congettura. Essi individuano le due direzioni complementari della ricerca: una documentaria e centrifuga, l'altra interpretativa e centripeta. Lavoro e intuizione, sistematicità e genialità non si oppongono; si completano. L'apparente dualismo è superato se la propensione alla congettura si sviluppa grazie all'esperienza dei testi, dunque all'assimilazione sistematica di un linguaggio. Già nel 1889 Willamowitz gridava alla nuova generazione di filologi che il compito della filologia è di afferrare una personalità estranea.
Il problema ermeneutico, sin dal suo primo porsi, si è subito risolto nel complicato gioco di rapporti e delle possibili interferenze fra autore, testo, lettore. Se Lachmann delineava una metodologia fondata sulla comparazione oggettiva, neutralmente scientifica, che concepiva il testo come statico, la soluzione positivistica di Bédier assumeva l'opera letteraria come un valore storicamente dato, parzialmente indipendente dalla originaria volontà dell'autore.
Le più recenti acquisizioni dell'ermeneutica novecentesca individuano la soluzione del problema non tanto nella negazione del circolo interpretativo ma nella consapevolezza della sua esistenza e del suo controllo, attraverso la scomposizione: il critico non è posto davanti ad un bivio tra lettura violentatrice e lettura filologica. Il critico deve soprattutto addentrarsi audacemente fra le strutture dell'opera e cogliere i significati che esse propongono, come dice Segre. Il tempo concede incrementi di significazione al lettore, che percepisce nelle strutture semiotiche sempre nuovi rapporti, collegamenti, l'ordito di una trama in trasformazione inesauribile.

Tratto da STORIA DELLA PEDAGOGIA di Gherardo Fabretti
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