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Fasi della malattia schizofrenica


Pao individua inoltre 3 fasi nel decorso della malattia schizofrenica:
LA FASE ACUTA: lo psicologo può interagire con paziente schizofrenici in fase acuta ma è probabile che il paziente venga visto dal clinico con evidente e carenza di motivazione intrinseca al colloquio più uno specifico panico relativo alle situazioni interpersonali caratteristico degli stati schizofrenici. Alla base delle reazioni parossistiche e inadeguate dei paziente sottosta un tremendo senso di angoscia e paura che li spinge ad agire, sostituendo le azioni ai pensieri.
Nella conduzione del colloquio il primo dato fondamentale deve riferirsi alle differenze relative alle esperienze di sofferenza soggettiva che meritano e necessitano di essere ascoltate con interesse sincero, genuino rispetto, atteggiamento non giudicante e partecipazione empatica. Lo psicologo clinico che interagisce con un paziente in questa fase deve essere consapevole del profondo terrore e dell’estrema diffidenza nei confronti dell’ambiente che lo circonda.
Una delle prime tematiche che il paziente vorrà affrontare sarà relativa alla contenzione fisica o alla riduzione psicofarmacologica, ma entrambi gli argomenti esulano dalle competenze e dal potere dello psicologo che quindi deve ben guardarsi dall’affermare promesse o impegni. Ciò che lo psicologo può fare è ascoltare il paziente , aiutarlo a ridurre il terrore e accompagnarlo affettivamente nel percorso terapeutico propostogli e farsi portavoce presso l’equipe di lavoro.
Il fatto di essere a colloqui con un paziente così disturbato e strano non deve introdurre il clinico a dimenticarsi di essere di fatto un perfetto sconosciuto per la persona che si trova di fronte e come tale ansiogeno e pericoloso. Il metodo migliore per affrontare la situazione è riconoscere verbalmente tale condizione obiettiva, comunicandola al paziente , dimostrandogli una partecipazione empatica.
Vi è la possibilità che lo psicologo si trovi di fronte ad alcuni dei sintomi floridi della schizofrenia come deliri (idee fisse non vere), allucinazioni (percezioni senza oggetto). Nessuno condivide le esperienze degli schizofrenici che proprio per queste idee bizzarre o stravaganti sono in conflitto con il mondo, ma è compito dello psicologo ascoltarle e comprenderle per il profondo significato esperienziale ed affettivo che comunicano, in quanto espressioni del pensiero primario dell’individuo.

FASE SUB-ACUTA: è in questa fase che lo psicologo può affrontare una relazione di tipo verbale con il paziente , caso in cui il paziente esce dal Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura e momento opportuno per intraprendere una psicoterapia orientata psicoanaliticamente. Scopo del colloquio sarà:
Sostegno psicologico alla sofferenza e alle modificazioni;
Aiutare il paziente a non accettare la chiusura e concettualizzare il sintomo.
Nella relazione con il paziente lo psicologo deve essere consapevole della fragilità dell’equilibrio raggiunto dal paziente e delle inevitabili esperienze di frustrazione. La fase sub-acuta non è mai stabile e uniforme e potrà costantemente oscillare tra manifestazioni sintomatologiche tipiche della psicosi ed altre più mature come sintomi pseudo-nevrotici.
Man mano che il paziente sperimenterà la propria adeguatezza nel dialogo e nella relazione tenderà ad abbandonare tali oscillazioni. Sarà utile che lo psicologo si farà interprete delle condizioni e aspettative di questo e intrattenere un rapporto con il nucleo familiare di orgine.

FASE CRONICA: il paziente sembra aver raggiunto la ferma condizione che il proprio mondo oggettuale gli sia ostile e dunque impara a non desiderare o a soddisfare il proprio desiderio attraverso l’allucinazione.
È importante sapere che anche il paziente più regredito può cambiare la propria condizione esistenziale e il proprio senso di sé dunque il trattamento e il miglioramento sono possibili.

CONCLUSIONI: il ruolo dello psicologo è di comprensione dell’esperienza soggettiva del paziente con lo scopo di mettere in atto tutte le strategie di contatto individuale e riabilitative e Il suo compito è di centrarsi sulle potenzialità e sui vissuti del paziente . Compito terapeutico primario sarà quindi l’aiuto al paziente nel superare la sfiducia negli altri e la relazione terapeutica deve essere inteso come luogo in cui il paziente può esistere, trovare varie e nuove forme di benessere, rispetto e dignità.


Tratto da IL COLLOQUIO COME STRUMENTO PSICOLOGICO di Carla Callioni
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