Il petrarchismo di Leopardi

Sul petrarchismo di Leopardi, infatti, c'è da discutere. Il commento petrarchesco non sembra, infatti, la prova di un già avvenuto mutamento in senso negativo del giudizio critico di Leopardi su Petrarca, ma solo una costrizione. C'è da chiedersi, invece, se in quella costrizione luccica ancora qualche segnale di quella sintonia e di quell'amore di Leopardi per Petrarca. Nel commento La Barbieri, la Noferi e Nencioni hanno individuato due poeti: uno patente e uno latente, il secondo formato sul primo. Spesso i due poeti coincidono e mai il latente spianatore è insensibile al patente poeta; coincidono soprattutto in aree lessicali e semantiche precise, come quelle della reminiscenza,  della rimembranza, del processo immaginativo.
Esistono poi precise intersezioni tra il lessico del Canzoniere petrarchesco e quello dei Canti di Leopardi, sia precedentemente che successivamente al commento. Basta l'esempio dei vv. 9 – 10 del proemio del Canzoniere, chiosato da Leopardi in una maniera (per lungo tempo fui materia di discorso e di riso alla gente) che è molto simile a quanto dirà poi nelle Ricordanze (argomento di risa e di trastullo); sembra cioè che la prosa del commento si facesse insieme mediatrice e portatrice dei concetti e del lessico successivi al silenzio poetico di quegli anni. Concludiamo dicendo che anche molti di coloro che volevano da Leopardi un commento veramente leopardiano, finirono comunque per utilizzare quel commento tanto bistrattato. Primo fra tutti Carducci, che se ne servì, nonostante avesse definito Leopardi uno scoliaste, per il suo commento. E come se Carducci, dicendo che quel commento rimaneva comunque il più elegante, avesse sdoganato quei volumetti, moltissimi altri se ne servirono e la tradizione si perpetua ancora oggi, fino all'agguerrito commento di Marco Santagata.