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L'orrore del mostruoso: troppo corpo o troppo poco

Nell'Ottocento, il perturbante (l'unheimlich di Freud) impedisce sonni tranquilli alla borghesia.  Sebbene il fantastico ottocentesco apre la porta all'unico scopo di chiuderla, alcuni casi si avvicinano alla distopia. La diversità del mostro può essere causata da un eccesso di corporeità (il mostro vero e proprio) o da una mancanza di coesistenza (il fantasma, impossibile da toccare).

Corporei sono i mostri più famosi, Frankenstein e Dracula. All'altro capo del fantastico, l'ospite sinistro è rappresentato dall'invisibile. L'esempio principe è Le Horla di Guy de Maupassant (1887). Il racconto nasce dalla sensazione che ci sia qualcuno accanto a noi, una presenza nascosta.

L'invisibilità dell'Horla lo rende imbattibile: la sua presenza è un'ossessione che porta alla follia. Il nome dice che è hors là, là fuori, un emissario dell'esterno. Il narratore formula un'ipotesi fantascientifica: forse l'essere diverso proviene da un altro pianeta e magari è l'avanguardia di una forza di conquista. Qui il fantastico prende la piega della distopia: le Horla, con il terrore della alienazione anticipa le distopie novecentesce incentrare sul potere onnipresente di un Grande Fratello.

Seguendo le due linee della mostruosità nel Novecento, la troppo corporeità è incarnata in Howard Phillips Lovecraft. In Lovecraft la forza dell'orrore soprannaturale è direttamente proporzionale alla distanza di ciò che ritorna. E allora l'americano retrocede fino alle origini: gli abitanti delle tenebre sono "Quelli-di-prima", i Grandi Antichi (The Great Old Ones). Ciò che spaventa in Lovecraft non è tanto la rappresentazione del mostro, ma il suo ritardo, cioè la tecnica della suspence.

Quanto al pericolo immateriale, una sua versione novecentesca si trova in El Zahir di Borges. Lo Zahir (dal significato in arabo di notorio, visibile) è un'entità metamorfica e invisibile, che attraversa persone e cose. Lo Zahir fa presa della persona, si appropria dell'identità, come l'Horla. Al termine, si parla di una sostituzione della realtà con l'irreale: "Non percepirò più l'universo, ma lo Zahir".

Tratto da "SCRITTURE DELLA CATASTROFE" DI MUZZIOLI di Domenico Valenza
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