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Gli spostamenti interni italiani fra il 1955 e il 1970


MOBILITÀ. Fra il 1955 e il 1970 gli spostamenti da un comune all'altro sono quasi 25 milioni mentre quelli che portano al di fuori della regione di partenza 10 milioni. Fra il 1958 e il 1963 i meridionali che si trasferiscono al Centro – Nord sono poco meno di un milione. A svuotarsi sono in primo luogo le aree di montagna e di collina, le case isolate, le frazioni e i nuclei abitativi sparsi. Considerando i saldi migratori, solo 19 province su 72 (in primis Milano, Roma, Torino, Genova, Firenze e Bologna) hanno un saldo positivo.
Nelle sei città citate si concentrava l'87% del saldo migratorio. Le grandi linee degli spostamenti sono spesso risultante ultima di movimenti complessi. Si considerino le migrazioni rurali: talvolta segnano lo spostamento definitivo da aree agricole povere ad altre più ricche, talora hanno il più provvisorio carattere di avvicinamento a centri urbani. A volte possono avere lo scopo di acquistare poderi toscani o emiliani abbandonati dai precedenti coloni, oppure il lavoro nella floricoltura ligure. Circa il 60% dell'emigrazione umbra, per fare un esempio, non trova sbocco fuori dalla regione stessa ma al suo interno. Anche nel Mezzogiorno gli spostamenti non sono sempre connessi in modo diretto alla creazione di posti di lavoro.
Ci sono poi gli spostamenti pendolari e quotidiani, tipici dei centri come Milano e Torino, dai centri limitrofi e anche meno limitrofi; Sette ore di lavoro, sette ore in treno si intitolava una inchiesta sull'argomento di Kino Marzullo sull'Unità.
Quali furono i segnali che vennero – o non vennero – dai poteri pubblici? Come già s'è detto, questi flussi colossali coesistettero sino al 1961 con la legislazione fascista, volta a impedire l'urbanesimo, e non è sufficiente prendere atto che essa, di conseguenza, non fu realmente applicata. Essa valse a trasformare una parte cospicua degli immigrati in fuorilegge, in una sorta di clandestini del mercato del lavoro nella loro stessa patria. Su questi strani clandestini prosperano forme di appalto e subappalto della manodopera abolite solo nel 1961. In questo quadro, gruppi consistenti di immigrati sono portati a trarre anche i possibili vantaggi dall'illegalità e dalla precarietà: di qui l'aumento della estraneità e della diffidenza verso le strutture pubbliche e il rafforzamento di quelle reti di relazioni che innervavano il sistema extra – legale di reperimento del lavoro.
Si può aggiungere che governo e prefetti pongono una qualche attenzione alle migrazioni interne solo quando i risultati elettorali sembrano indicare che la crescita delle sinistre nelle grandi città del nord è dovuta appunto al voto degli immigrati. Che i cittadini abbiano bisogno in primo luogo di norme, di tutela legislativa e giuridica, è elemento che sembra sfuggiure alla sensibilità di ministri e prefetti.
Aggiungiamo qualche riga sulle modalità con cui vengono a interagire culture tradizionali e processi di modernizzazione e sulle forme e gli esiti molteplici di questa reciproca influenza. Non va sottovalutato, in particolare, un elemento di grande importanza: la ripresa di vecchi conflitti sociali che attraversano le concentrazioni operaie, vecchie e nuove, a partire dalla fine degli anni cinquanta. Gli immigrati di origine rurale aderiscono all'ideologia che hanno trovato dominante a livello operaio, nelle grandi città del nord, e partecipano alle lotte sindacali e politiche non soltanto perché ciò corrispondeva ai loro interessi economici immediati ma perché permetteva loro di identificarsi con il nuovo ambiente urbano – industriale. La ripresa delle lotte operaie è il terreno specifico di tale discorso e diventerà ben presto un recipiente di idee e di azioni a cui attingere in seguito.
Anche il tempo libero rimodella il paese e la mobilità e la costruzione dell'Autostrada del Sole ne è l'esempio più lampante.



Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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