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Fernando Vàzquez de Menchaca: il colpo decisivo


L'autore che ebbe la comprensione più piena del verso che la discussione aveva ormai preso dopo i colpi di Soto e Covarrubias, fu Fernando Vàzquez de Menchaca, che nei Controversiarum illustrium aliarumque usu frequentium libri tres analizza celebri controversie, in origine per difendere la priorità delle richieste dei delegati spagnoli rispetto a quelle dei francesi.  
Menchacha infatti accompagnò Filippo II come giudice durante l'ultima seduta del Concilio di Trento nel 1561, e dal dibattito tra i delegati riuscì a trarre la più originale discussione sui diritti politici. In un certo senso continua lì dove Soto e Covarrubias finiscono anche se pervengono a conclusioni molto diverse. Nel secondo libro dell'opera Vàzquez parla del diritto romano di usucapione, prendendo le mosse da una tradizionale disquisizione giuridica sui possibili significati della lex Rhodia. Uno di essi è l'argomento svolto nella Metafisica di Aristotele in base al quale se il bene dell'uomo è uno, una deve anche essere la norma di legge. Questo argomento viene spostato in due direzioni.  Ogni potestà civile, come diceva Soto, dipende dalla sottomissione volontaria. Ma al contrario di Soto ciò non comporta il consenso del popolo verso i governanti ma che il potere supremo dell'imperatore è a esclusivo vantaggio dei cittadini. I cittadini sono persone politiche dotate di autonomia e diritti, perciò uno Stato non può essere tanto esteso da fare sì che chi lo regga non sia in grado di esercitare l'autorità necessaria a curare gli interessi dei cittadini. Dunque Vàzquez dimostra non solo che l'autorità di chi governa deriva dall'assenso dei membri della comunità in quanto individui, ma anche che le società esistono solo per il bene di quegli individui e perciò non possono che essere dispositivi ad hoc senza durevole forza. Vàzquez riconosce che le società sono umane, e quindi sono prodotti della storia destinati senza scampo a cambiare nel tempo, e il linguaggio che le descrive muta assieme a loro. Ma a differenza di Soto, Vàzquez non accettava l'asserzione che la pubblica potestà civile fosse un ordine di Dio. La potestà civile appartiene all'ambito dei rapporti umani e deriva la propria legittimità non dalla natura ma dalla consuetudine. La supremazia deriva dalla consuetudine perchè le leggi e le forme di governo mutano al mutare dei fatti. Così anche lo  ius imperii muta al mutare delle società perchè governare significa, secondo Vàzquez, amministrare. Nessuna società può dunque edificare la propria autorità politica su una identità stabilita su un indefinito continuum temporale e spaziale, del genere di quello rivendicato dall'impero romano. Se anche si volessero addurre argomenti naturalistici, dice, l'unico sarebbe quello tratto dal De Anima di Aristotele quando dice che ogni cosa è destinata a raggiungere la sua misura naturale. Ma anche così le carte non sarebbero a favore dell'universalismo, perchè non sarebbe in grado di raggiungere la forma naturale perchè contrastante col principio universalistico. Dov'è, si chiede Vàzquez, questa norma universale che non compare in alcuna vicenda umana e in nessun racconto storico? La scoperta di regioni sconosciute minava ancora di più questo principio perchè rivendicare una sovranità universale voleva essere sinonimo di pretendere che ogni nuova società scoperta si conformasse ad una norma che si era formata prima della scoperta della sua esistenza. E ponendo che la norma fosse stata pensata per il vantaggio della nuova società, come poteva essere possibile ciò se ancora i bisogni di essa non erano noti?

Tratto da LA NASCITA E L'EVOLUZIONE DELL'IMPERIALISMO di Gherardo Fabretti
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