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L'indipendenza delle colonie francesi dalla madrepatria


I coloni francesi furono gli unici a non cercare l'indipendenza dalla madrepatria. Molto prima che si manifestassero le condizioni politiche e culturali necessarie per sostenere una lunga rivolta, il primo impero francese d'oltremare aveva semplicemente cessato di esistere il 10 febbraio 1763 con la fine della guerra dei Sette Anni, che aveva ridotto la presenza francese in America alle isole dei Caraibi, in particolare Santo Domingo e Guadalupe. Queste isole non avevano una popolazione indigena con cui i francesi avrebbero potuto integrarsi e sin dalla metà del Settecento si diffuse un tipo di economia basata sulle piantagioni e sulla importazioni di schiavi. I francesi pur rimanendo sotto la necessaria ala protettrice del governo francese, nel 1763 iniziarono a protestare per l'abolizione delle leggi governative che regolavano il commercio coloniale.
La rivoluzione americana del 1776 sconvolse i coloni francesi che temerono una ribellione generale degli schiavi, come poi effettivamente accadde a Santo Domingo nel 1793. Ma rispetto alla rivoluzione inglese, ai Caraibi la situazione era invertita: furono gli sconvolgimenti del 1789 nella madrepatria a minacciare l'esistenza dei coloni nel Nuovo Mondo perchè la rivoluzione indebolì molto il sostegno che la madrepatria forniva. La nascita della Sociètè des amis des Noirs a Parigi, che voleva emancipare tutti gli schiavi delle colonie, terrorizzò i francesi.
La disputa aspra che si aprì tra il 1790 e il 1792 all'Assemblea Nazionale sul destino delle colonie si trasformò in un dibattito più ampio sull'auspicabilità morale della stessa schiavitù: i coloni pretendevano di rimanere fedeli alla madrepatria basandosi su una economia, quella schiavista, che la madrepatria stava pian piano rifiutando!
Fu così che i coloni copiarono la separazione giuridica che già gli inglesi avevano adottato. Secondo tale argomento il legame giuridico che passava tra le colonie e la madrepatria doveva essere determinato da un corpo di leggi emanate dalla madrepatria, che avrebbero trattato la difesa, il commercio e la politica estera delle colonie, lasciandole libere di gestire la politica interna. Se la rivoluzione francese non avesse cambiato le carte in tavolta un ragionamento del genere in Francia sarebbe stato impossibile anche da pensare perchè la legge tutta faceva capo al sovrano e non al sovrano e al parlamento. Ma la rivoluzione era in atto e i rivoluzionari francesi ammisero che anche i coloni avevano preso parte al processo rivoluzionario e che non poteva negarsi loro il godimento degli stessi benefici degli abitanti della madrepatria.  All'inizio in realtà la Francia sostenne che le leggi del commercio e della protezione erano materia dell'amministrazione estera, e quindi vincolata alla madrepatria ma il fatto che alla fine si ammise che in futuro nessuna legge doveva più essere, nemmeno in quella sfera, approvata dal corpo legislativo senza il preciso, formale e spontaneo voto delle colonie, rendeva le colonie virtualmente indipendenti per quanto concerneva la loro legislazione. La madrepatria stessa aveva volontariamente rinunciato al suo ruolo di patriarca romano per diventare al contrario una società governata da leggi. Ciò che dunque era cambiato in Francia doveva cambiare anche nelle colonie. Si fa strada l'importante concetto russoviano di volontà generale in nome della quale le colonie restavano leali alla madrepatria solo se ogni cittadino era incluso nella nuova legge, perchè la rivoluzione francese doveva produrre i medesimi effetti in patria e nelle colonie. Dal 1792 i sudditi del re erano diventati cittadini dotati di diritti e da quel momento ad ogni comunità  all'interno dello Stato doveva essere data la possibilità di seguire i propri interessi autonomamente e dunque di formulare proprie leggi. I coloni avevano perseguito propri interessi e in nome del risultato della volontà generale, cioè la nuova legge, dovevano liberamente seguire i propri interessi.

Tratto da LA NASCITA E L'EVOLUZIONE DELL'IMPERIALISMO di Gherardo Fabretti
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