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Le prime opere di Francisco de Quevedo y Villegas

Le prime opere di Francisco de Quevedo y Villegas



Come la sua vita, anche la sua opera letteraria è densa di contraddizioni. Alterna canzoni ispirate all’ambiente malavitoso e al mondo picaresco, a sonetti amorosi imbevuti di platonismo petrarchesco; gallerie satiriche di difetti, colpe e tare varie a meditazioni ascetiche sulla condizione umana e sulla morte; traduzioni del giocoso Marziale a traduzioni di severi filosofi; acri e violente censure letterarie e attacchi personali, a poesie così elevate da essere chiamate metafisiche.
In via ipotetica possiamo dividere la produzione di Quevedo in due grandi gruppi: quella prima del 1612 – 1613, prevalentemente scherzosa, leggera e spensierata, a quella posteriore al 1613, prevalentemente pensosa e grave.
Le prime poesie.
Il suo primo successo letterario è legato all’apparizione di alcune sue composizioni nell’antologia cortigiana di Pedro Espinosa intitolata Flores de poetas ilustres, nel Contemporaneamente scrive il Buscòn e poco dopo i primi Suenos, che però non saranno pubblicati prima del 1626 – 1627. Le poesie raccolte nei Flores sono di vario argomento, ma prevalgono le satire; non mancano però poemetti mitologici, morali e politico – morali e di elogio funebre. La satira è prevalentemente letteraria, e il bersaglio preferito è naturalmente Gongora. Satira di argomento letterario, dicevamo, ma non basata su critiche letterarie: qui sembra che sia solo la violenta antipatia personale di Quevedo a spingerlo, specialmente nelle velenose allusioni alla scarsa “limpieza de sangre”, cioè alla possibile ascendenza giudaica di Gongora. Altri bersagli sono il nuovo cristiano, il medico, l’avaro, il marito ingannato e soprattutto il mercante, l’artigiano e la donna. I primi due vengono di solito bollati come rapaci e ingordi; la seconda viene dipinta nei suoi difetti fisici (magrezza, vecchiaia) o morali (la venalità).
Il Buscòn.
In apparenza sembrerebbe un racconto incentrato sui canoni del romanzo picaresco, ma in realtà Quevedo li scompone e li dissolve. Se già il romanzo picaresco nasce, strutturalmente, come una serie di successioni di episodi poco coerenti, Quevedo accentua questa tendenza frantumando la narrazione in una serie di scene autonome, sezionando i personaggi anatomicamente, riducendoli ad un coacervo di elementi apparentemente sconnessi e privi di ogni calore umano. Non è sbagliato leggere in ciò una disposizione giocosa dello spirito, il proposito irrealista e surrealista alimentato da una felice esaltazione demiurgica che porta lo scrittore a voler pretendere di smontare l’intero universo, rimontandolo a proprio capriccio

Tratto da LETTERATURA SPAGNOLA di Gherardo Fabretti
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