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Neoliberalizzazione in Messico

Fino alla vittoria di Fox nel 2000 l'unico partito al governo messicano dal '29 fu il Partido revolucionario institucional, che creò uno stato corporativo perseguendo l'idea di una modernizzazione guidata dallo stato e un modello di import substitution. Nel '65 cominciarono arrivi controllati di capitali stranieri in base al programma "maquila". Alla crisi globale degli anni '70 il Messico rispose con un allargamento del settore pubblico, subentrando nelle imprese private che fallivano. Per farlo lo stato dovette chiedere prestiti alle banche di New York, invase dai petrodollari. La successiva politica di Volcker e la recessione portò ad un aumento del costo degli interessi sul debito, finchè il Messico non fu costretto a dichiarare bancarotta nel 1982. come misura d'emergenza il presidente Portillo nazionalizzò le banche. Nell'84 la Banca Mondiale garantì un prestito al Messico in cambio di riforme neoliberiste - il nuovo presidente De la Madrid aderì al GATT e mise in atto un programma d'austerità con effetti terribili sui salari e sulla criminalità. De la Madrid cominciò a svendere le imprese pubbliche per ripagare il debito, reprimendo con forza le lotte dei lavoratori. Il successivo presidente, Salinas, portò a compimento gli accordi per la creazione del NAFTA e privatizzò nuovamente le banche. Nel '91 fu riformata la legge sull'ejido, che garantiva il possesso e l'utilizzo collettivo della terra. La resistenza alla riforma scoppiò nella rivolta zapatista del Chiapas nel '94. il risultato dell'applicazione delle riforme del FMI fu la crisi "tequila" del '95, scatenata dalla crescita degli interessi della Federal Reserve. Nel frattempo si è verificata una continua crescita delle disparità.

Tratto da BREVE STORIA DEL NEOLIBERISMO di Giulia Dakli
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