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Storia dell'archivio audiovisivo


L’archivio audiovisivo conserva buona parte della nostra memori storica intesa come rappresentazione e documentazione del reale. Gli storici, i ricercatori, gli studiosi in genere attribuiscono sempre più al medium audiovisivo la dignità di fonte di storia. In Italia la discussione alta sullo specifico della conservazione della memoria per immagini in movimento parte all’inizio degli anni’80 (marzo 1981 Venezia, “Film come bene culturale” pietra miliare per coloro che occupano di cinema e video). Molta strada è stata compiuta: il personale è più preparato, c’è più cura nel restauro, c’è più attenzione nel valorizzare i materiali; in tutto ciò va segnalato il contributo delle tecnologie video che hanno reso i documenti più accessibili, e dell’informatica insostituibile ausilio per l’informazione relativa ai documenti. Nonostante ciò la nostra situazione è fra le più arretrate del mondo civile. L’Italia non possiede ancora una legislazione sugli audiovisivi.  Manca una normativa non solo ad integrare il bene audiovisivo ma addirittura l’oggetto compete in parte al Ministero dei beni culturali, in parte a quello dello spettacolo, in parte a quello delle poste e telecomunicazioni.
A soli 3 anni dalla prima proiezione pubblica del cinematografo, nel 1898 Matuszewski lanciò l’idea di conservare e diffondere con finalità culturali le opere cinematografiche. Le raccolte che vedono la luce nell’epoca del muto non hanno finalità culturali bensì d’uso e di proprietà. Solo all’inizio degli anni’30 sorgono i primi cineclub e le prime cineteche. A questo punto grazie al consolidamento della critica cinematografica e all’interesse che gli intellettuali mostrano per la settima arte, il film è diventato un espressione d’arte e di cultura, frutto dell’ingegno. Così la strada si biforca, da una parte il film come opera d’arte ha diritto allo statuto di bene culturale e entra di diritto nelle cineteche. Per tutto il resto l’oblio. Con lo sviluppo dei formati videomagnetici e della produzione televisiva l’urgenza appare anche maggiore. La tv italiana celebrando i suoi 40 anni propone inchieste, varietà, e programmi delle origini. Purtroppo non avremo mai più occasione di rivedere ciò che andato definitivamente perduto (il supporto videomagnetico è ancora più fragile e deperibile del nitrato e richiede particolari condizioni di conservazione). Mentre il mondo festeggia i 100anni del cinema noi possiamo rilevare che un secolo non è stato sufficiente per garantire un ruolo organico all’informazione per immagini. Infatti la fonte per eccellenza è ancora quella scritta, gli archivi quelli cartacei. Molti giudicano tuttora film e video con sufficienza, questi sono visti di buon occhio solo se vecchi e se evocano situazioni coperte da una polvere di stelle, se alimentano la nostalgia e il revival. Ma se l’audiovisivo deve essere una fonte di studio a tutti gli effetti è necessario operare affinché i criteri di scelta cambino radicalmente, dobbiamo accettare filmati brutti fatti male e incompleti a patto che siano documenti. Se un qualsiasi girato ci mostra una realtà scomparsa o non ci troviamo davanti ad importanti reperti, beni culturali. Va segnalato l’atteggiamento positivo dell’Unesco espresso nel documento “Raccomandazioni per l salvaguardia e la conservazione delle immagini in movimento” del 1980, nel quale viene riconosciuta ufficialmente la natura di bene culturale dei prodotti audiovisivi e si fa riferimento non solo al film in pellicola ma al concetto molto più esteso di immagini in movimento. Per conservarle si invitano gli stati membri ad istituire l’obbligo del deposito legale e a facilitare l’accesso alle fonti da parte del pubblico. A 3 lustri di distanza nessuna delle raccomandazioni stata adottata in Italia dagli organi competenti.

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