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Limiti della potestà legislativa regionale (art. 117(1) cost.): obblighi internazionali e 'potere estero' delle Regioni


Prima della riforme del Titolo V è stata a lungo dominante, in sede politica, scientifica e giurisprudenziale, l’opinione che il limite degli obblighi internazionali valesse, più che come limite alla potestà legislativa regionale, come riserva esclusiva allo Stato del potere di assumere impegni sul piano internazionale; con la conseguenza, da un lato, che le Regioni erano del tutto prive di “potere estero”, dall’altro, che potevano essere spogliate di quelle loro competenze che venivano, volta a volta, toccate dall’attività internazionale dello Stato.
Il quadro muta radicalmente dopo la riformulazione dell’art. 117 cost.
In primo luogo perché il vincolo degli obblighi internazionali viene configurato finalmente come limite all’esercizio della potestà legislativa regionale, e non più come (improprio) strumento per sottrarre competenze alle Regioni.
In particolare, tra le molte questioni poste dalla genericità dell’espressione “obblighi internazionali” spicca quella della portata del vincolo.
Il problema è stato affrontato dalla legge La Loggia, la quale identifica tali obblighi nelle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, negli accordi di reciproca limitazione della sovranità e nei trattati internazionali.
Permane però il dubbio se le leggi regionali (e quelle statali) siano vincolate al rispetto di tutti i trattati, ivi compresi in particolare gli “accordi in forma semplificata”.
Secondariamente, assume particolare rilievo l’art. 1175 cost., il quale statuisce che nelle materie di loro competenza, le Regioni “provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali”, offrendo spazi di autonomia in precedenza sconosciuti.
Il nuovo art. 117 cost., poi, riveste importanza determinante anche per quanto riguarda il riconoscimento, a livello costituzionale, della legittimazione delle Regioni a svolgere attività sul piano internazionale.
Una prima breccia in questo fronte è stata aperta già dall’art. 42 d.p.r. 616/77, secondo il quale le Regioni erano legittimate, “previa intesa con il Governo”, a svolgere all’estero “attività promozionali relative alle materie di loro competenza”.
Rimaneva il problema della riconoscibilità o meno di tutta una serie di attività di incerta qualificazione, da un lato non classificabili come promozionali, dall’altro non attinenti ai rapporti internazionali in senso stretto, evidentemente riservati allo Stato.
La questione è stata affrontata dalla Corte costituzionale nella sent. 179/87, la quale ha recepito l’individuazione, operata in dottrina, della categoria delle “attività di mero rilievo internazionale”, che le Regioni sono legittimate a svolgere in quanto si tratta di attività prive di incidenza sulla politica estera dello Stato, che non pongono in essere veri accordi, né impegnano le responsabilità dello Stato, ma consistono nello scambio di informazioni, nell’approfondimento di conoscenze, nell’enunciazione di intenti ed aspirazioni.
Successivamente, a questo orientamento si è adeguato anche il Governo, il quale, con il d.p.r.  del marzo ’94, ha distinto tra le attività per cui non richiesta alcuna formalità (studi, informazioni, scambi di notizie, ecc…) da quelle (gemellaggi, enunciazioni di principi e intenti, ecc…) di cui le Regioni devono dare previa comunicazione al Governo per ottenerne l’assenso, che si intende accordato se entro 20 giorni questo non si oppone eccedendone il contrasto con gli indirizzi politici generali dello Stato o l’esorbitanza della sfera degli interessi regionali.
Per quanto riguarda invece le “attività promozionali”, il decreto precisa che sono volte a favorire lo sviluppo economico, sociale e culturale delle Regioni, e che la “previa intesa” fra Governo e Regioni per tali attività può essere raggiunta anche in forma tacita, se il Governo non manifesta, entro 45 giorni dall’avvenuta comunicazione, la propria opposizione al programma delle iniziative che le Regioni intendono svolgere all’estero.
Infine, vanno qui richiamate quelle attività svolte dalle Regioni ordinarie e dagli analoghi enti territoriali stranieri (cantoni, lander, ecc…) aggregandosi in “comunità di lavoro”, che operano lungo l’arco alpino.
Queste comunità sono raggruppamenti di enti territoriali appartenenti a più Stati, non possiedono personalità giuridica, ma sono dotate ciascuna di una loro propria organizzazione.
Esse svolgono attività conoscitive, formulano programmi nei settori di interesse comune, redigono progetti che comunque spetta poi agli Stati attuare.
Rispetto a tale situazione, le competenze regionali sul piano internazionale, vengono ulteriormente ampliate dalla riforma del Titolo V.
Se è vero, infatti, che “politica estera e rapporti internazionali dello Stato” figurano tra le materie di competenza esclusiva della legge statale, va peraltro sottolineato che rientra fra le materie di competenza concorrente quella dei “rapporti internazionali delle Regioni” e che viene previsto addirittura che “nelle materie di sua competenza, la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato”.

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