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Il rapporto fra le leggi regionali e le leggi statali


Tale rapporto è sempre stato oggetto di approfondito dibattito fra gli studiosi; si può dire in sintesi che la dottrina era attestata, fino alla riforma, su due posizioni principali:
a. secondo una prima concezione, in alcuni casi andava riconosciuta la prevalenza gerarchica delle leggi statali su quelle regionali, anche se da ciò non si doveva inferire in via generale la natura di fonte secondaria della legge regionale.
Secondo questo orientamento, infatti, vi erano dei casi in cui, per posizionare la legge regionale rispetto alla legge statale, era indispensabile fare ricorso anche al criterio della competenza, che integrava quindi il criterio gerarchico;
b. secondo una diversa concezione, le due fonti erano separate nella pari-organizzazione; in altre parole, le leggi regionali andavano considerate come leggi in senso tecnico e quindi si trovavano sullo stesso piano delle leggi ordinarie statali, ma erano dotate di una sfera di competenza distinta e garantita a livello costituzionale.
Se ne ricavava che i due tipi di fonte non potevano entrare direttamente in contatto tra loro.
Secondo questo filone dottrinale, non era per forza loro propria che determinate leggi statali prevalevano sulle leggi regionali, ma in quanto strumenti di realizzazione di principi costituzionali.
In altre parole determinavano indirettamente l’invalidità costituzionale delle leggi regionali.
Oggi, ragionando alla luce della l. cost. 3/2001, sembra doversi ricavare che la riforma ha escluso qualsiasi profilo di prevalenza gerarchica della fonte statale, e ha introdotto fra le due fonti un regime di separazione.
Nel nuovo Titolo V, infatti, la distinzione fra la sfera statale e quella regionale è operata si in base alle materie, ma in quanto esse sono espressione di interessi da soddisfare all’uno o all’altro livello di governo.

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