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Lo sviluppo storico dell'attività bancaria

Tutti sanno che le attività finanziarie di maggiore rilevanza svolte nel nostro mercato, unitariamente inteso, si contraddistinguono per la previsione di speciali operatori, legislativamente definiti “banche”, “intermediari finanziari non bancari” e “intermediari finanziari mobiliari”, ai quali viene affidato, con riferimento al pubblico, la custodia, la circolazione, la gestione e l’investimento del risparmio, e rispettivamente: l’esercizio dell’attività di raccolta di risparmio e l’esercizio del credito (artt. 10 e 11 t.u.b.); l’esercizio di attività di intermediazione finanziaria (artt. 106 e ss. t.u.b.); l’esercizio di attività di intermediazione mobiliare o di gestione collettiva di strumenti finanziari (art. 1, 18 e ss., 33 e ss. t.u.f.).
Uno degli aspetti principali che differenzia notevolmente l’attività bancaria dall’attività degli intermediari finanziari non bancari e dagli intermediari mobiliari è la diversa imputazione del rischio derivante dall’impiego del risparmio da parte dell’operatore. Tale profonda differenza, che consente di riservare alle sole banche il ruolo tradizionale e storicamente consolidato della raccolta di risparmio a vista e conseguentemente della “raccolta collegata all’emissione o alla gestione di mezzi di pagamento a spendibilità generalizzata” (artt. 10 e 11 t.u.b.), si dimostra direttamente collegata alla capacità della banca: di poter trasformare la moneta legale raccolta dai risparmiatori in credito disponibile, ovvero in moneta scritturale, che, sebbene posizione giuridica di natura obbligatoria e non più reale come per la moneta legale, dimostra di avere il medesimo valore e le medesime caratteristiche di spendibilità e circolazione generalizzata proprie di quest’ultima; e di consentire ai propri clienti l’utilizzazione di tale particolare credito attraverso una serie diffusa e crescente di strumenti bancari di pagamento di generale circolazione e accettazione anche per l’adempimento delle obbligazioni pecuniarie.
L’attività bancaria, che può dunque collocarsi fra le attività finanziarie rilevanti per il mercato, deve pertanto tenersi distinta dalle altre attività finanziarie il cui esercizio professionale non è riservato alle sole banche, quali in particolare: quelle che possono essere svolte da intermediari finanziari non bancari (assunzione di partecipazioni, concessione di finanziamenti, prestazione di servizi di pagamento e d’intermediazione in cambi) e dagli intermediari di valori mobiliari.
È bene, infatti, ricordare che l’attività, precipuamente costituita da “la raccolta del risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito”, “è riservata alle banche”, anche se “le banche esercitano, oltre all’attività bancaria, ogni altra attività finanziaria” (art. 10 t.u.b.); e che le “altre attività finanziarie”, esercitate da intermediari non bancari, non possono comprendere anche l’attività bancaria.
Già dal XIX secolo il capitalismo industriale ha presentato caratteristiche evidenti di una sua dipendenza dall’attività bancaria: il credito bancario rappresentava, ed ancora oggi rappresenta, la maggiore fonte del finanziamento dell’impresa. Tale dipendenza, tuttavia, grazie forse alla composizione del potere politico della fine dell’Ottocento, non ha determinato particolari ingerenze dei pubblici poteri sull’attività bancaria sino alla grande crisi dei primi decenni del Novecento. Occorre ricordare che sino all’emanazione del t.u.b. ora vigente la struttura del nostro sistema bancario era costituita da un corpo organico di norme, comunemente indicate come “legge bancaria”, dettate con r.d.l. 17 marzo 1936, n. 375, poi convertito con rilevanti modificazioni con l. 7 marzo 1938.
In precedenza, all’indomani della prima guerra mondiale, una serie di provvedimenti in materia monetaria e bancaria (r.d.l. 7 settembre 1926, n. 1511 e 6 novembre 1926, n. 1833) dettavano talune disposizioni per le imprese bancarie.
Tali precedenti disposizioni normative, invero dirette alla “tutela del risparmio”, abbozzavano un primo sistema regolamentato sia per le c.d. aziende di credito ordinario sia per gli istituti sorti per l’esercizio di crediti speciali. Esse, tuttavia, non eliminavano la frantumazione del potere di controllo, che rimaneva attribuito ad una pluralità di Ministeri (delle Finanze, dell’Agricoltura e Foreste, delle Corporazioni e dell’Economia nazionale) e alla Banca d’Italia.
Un primo obiettivo da perseguire, conseguito dalla “legge bancaria” del 1936-38, fu quello di affidare ad un’unica struttura pubblica la “difesa del risparmio e la disciplina della funzione creditizia”. Non solo, ma a tale struttura furono riconosciuti poteri di controllo anche su buona parte del risparmio destinato agli investimenti.
La nuova struttura di controllo era costituita da un Comitato di Ministri (Finanza, Agricoltura, Economia nazionale) presieduto dal capo del Governo, alle cui dipendenze veniva posto un organo statale, denominato “Ispettorato per la difesa del risparmio e per l’esercizio del credito”, a capo del quale era posto il Governatore della Banca d’Italia. Quest’ultimo, nella veste di capo dell’Ispettorato, partecipava alle riunioni del Comitato dei Ministri, il quale avrebbe dovuto inoltre sentire il Comitato corporativo centrale. In tal modo, di fatto, il controllo sulle banche fu affidato all’Ispettorato.
La legge bancaria non si limitò, poi, a trasferire il controllo sulle banche dalla Banca d’Italia all’Ispettorato, ma attribuì a quest’ultimo poteri molto ampi senza una precisa indicazione dei loro limiti e senza neppure specificare i fini per il cui conseguimento gli stessi potevano essere esercitati.
La legge bancaria aveva anche recepito e confermato la forte specializzazione che caratterizzava le imprese bancarie e la profonda differenza che caratterizzava gli statuti legislativi degli enti che esercitavano tale attività (c.d. pluralismo bancario).
La più espressiva specializzazione bancaria fissata dalla legge bancaria era rappresentata, infatti, dalla distinzione fra aziende di credito e istituti di credito: la prima legge dettava due corpi di norme separate rispettivamente per i “raccoglitori del risparmio a breve termine” e per la “raccolta del risparmio a medio e lungo termine”. La distinzione fra aziende e istituti di credito, che ha caratterizzato il sistema bancario italiano fino ai primi anni novanta, era fondata sulla diversa durata della raccolta: la raccolta delle Aziende era a vista o a breve e quella degli Istituti a medio e lungo termine. La raccolta a vista e a breve imponeva una vigilanza più intensa e diversa specie in ordine alla liquidità e quindi alla capacità di far fronte alle richieste di rimborso dei depositari.
Il pluralismo che caratterizzava il sistema bancario, vigente la legge bancaria, trovava riscontro, nell’ambito delle sole aziende di credito, ad una serie nutrita di categorie di enti: Istituti di credito di diritto pubblico, Casse di risparmio, Monti di crediti su pegno, Casse rurali artigiane, Banche popolari, Banche ordinarie in forma di società lucrativa. Ad essi si aggiungeva la miriade di istituti che operavano sul medio e lungo termine.
Il crollo del regime, pur non determinando l’abrogazione della legge bancaria, comportò importanti modifiche del sistema dalla stessa preordinato specie con riguardo alla struttura dell’appartato pubblico.
Soppresso il Comitato corporativo centrale, fu anche soppresso l’Ispettorato per la difesa del risparmio e per l’esercizio del credito e le relative facoltà e attribuzioni passarono al Ministro per il tesoro unitamente ai poteri e le attribuzioni in precedenza riservate al Comitato dei Ministri, al capo del Governo e al capo dell’ispettorato. La vigilanza sulle aziende di credito, invece, venne delegata alla Banca d’Italia, salva la facoltà del Ministro di “disporre nei casi in cui lo ritenesse opportuno, dirette ispezioni avvalendosi del personale proprio”.
Di lì a poco anche tale sistema venne modificato. Veniva, infatti, istituito il “Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio”, presieduto dal Ministro per il tesoro, al quale era attribuita “l’alta vigilanza in materia di tutela del risparmio, in materia di esercizio della funzione creditizia e in materia valutaria”, mentre le funzioni dell’Ispettorato venivano assegnate alla Banca d’Italia, la quale, pertanto, iniziò ad esercitare l’attività di vigilanza non in quanto delegata del Ministro per il tesoro, ma come titolare della relativa funzione.
Il sistema bancario, come sopra revisionato, doveva rimanere sostanzialmente immutato fino alla seconda metà degli anni ’70.
In questo periodo, infatti, nascono le prime direttive europee, le quali modificheranno notevolmente tutte le leggi nazionali precedentemente esistenti.
Primo passo decisivo sulla via dell’armonizzazione della normativa bancaria viene indicato nella direttiva 12 dicembre 1977 sul “coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative nel campo bancario”, direttiva n. 77/780/CEE.
Tale direttiva ha formulato alcuni importanti principi in una materia dove le differenze fra Stati membri erano notevoli. Sinteticamente, in essa si è affermato il principio della necessità di una semplice autorizzazione da parte dell’autorità amministrativa per la costituzione di enti creditizi e per l’esercizio dell’attività bancaria.
Ancorché possa ritenersi eccessivo qualificare la seconda direttiva in materia bancaria (89/646/CEE del 15 dicembre 1989, relativa al “coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l’accesso all’attività degli enti creditizi ed il suo esercizio) fonte primaria del c.d. diritto bancario europeo, indubbiamente le disposizioni normative in essa contenute avrebbero fortemente influenzato e modificato le diverse legislazioni nazionali ed accelerato il processo di unificazione.
La direttiva, quale ambito di applicazione soggettivo, aveva come destinatari gli enti creditizi, mentre dal punto di vista oggettivo introduceva principi e criteri di armonizzazione minima e regole prudenziali comuni.
Dei criteri di armonizzazione introdotti dalla direttiva, merita menzione l’imposizione di un capitale minimo e il controllo degli assetti proprietari, con una più puntuale disciplina delle partecipazioni.
In ordine alla libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, la seconda direttiva aveva previsto il meccanismo del c.d. passaporto europeo (principio del mutuo riconoscimento).
Affinché il meccanismo della direttiva potesse operare e l’ente creditizio godere del passaporto europeo ed essere abilitato a insediarsi tramite succursali ed a prestare servizi negli altri paesi comunitari, occorreva fossero rispettate tre condizioni:
- Che si trattasse di un ente creditizio autorizzato dalle autorità dello Stato membro d’origine e sottoposto alla loro vigilanza;
- Che le attività che svolgeva fossero debitamente autorizzate dalle autorità dello Stato membro d’origine;
- Che si trattasse di attività contemplate nell’allegato alla direttiva medesima.
In Italia l’avvio del processo di trasformazione del sistema bancario viene normalmente indicato nell’emanazione del d.P.R. 27 giugno 1985, n. 350 che dava concreta attuazione nel nostro ordinamento alla prima direttiva CEE.
L’innovazione più consistente di tale decreto è rappresentata dal riconoscimento del diritto all’ingresso sul mercato bancario a qualunque soggetto che presenti le qualità richieste dalla legge per poter esercitare la relativa attività: viene, cioè, privato da ogni discrezionalità l’esercizio del potere di controllo sull’accesso all’esercizio dell’attività bancaria attribuito alle autorità di vigilanza sul settore.
Ultima e forse più significativa tappa verso il nuovo sistema può essere indicata l’emanazione del d.lgs. 14 dicembre 1992, n. 481 (c.d. legge Amato) che ha definitivamente consentito la più ampia operatività agli enti creditizi, riconoscendo così piena cittadinanza nel nostro ordinamento, accanto al c.d. gruppo polifunzionale, alla c.d. “banca universale”: gli enti creditizi potevano esercitare, oltre all’attività bancaria, tutte le attività ammesse al mutuo riconoscimento ossia tutte le attività finanziarie; veniva così, definitivamente abolita la vecchia distinzione fra aziende ed istituti di credito.
La legge Amato non viene però particolarmente ricordata in quanto è stata sostituita nel giro di pochi mesi dal “Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia” che comportò molteplici innovazioni per il nostro sistema normativo in materia bancaria.
Basterà in questa sede ricordare:
- Il chiarimento sulle finalità che possono essere perseguite dalle autorità creditizie: “le autorità creditizie esercitano i poteri di vigilanza a esse attribuiti … avendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all’efficienza e alla competitività del sistema finanziario” (art. 5, 1° comma);
- Il forte collegamento fra i poteri delle autorità creditizie e le disposizioni comunitarie (art. 6)
- Le significative modificazioni, non solo in termini linguistici, dei soggetti che svolgono l’attività bancaria, ora definiti non più “enti creditizi (d.lgs. 481/1992) ma “banche (art. 1);
- Il riconoscimento che “la raccolta del risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito” costituiscono l’attività bancaria, la quale “ha carattere d’impresa” ed il cui “esercizio” “è riservato alle banche” (art. 10). Si poneva fine, in tal modo,  alle dispute più o meno risalenti sul carattere pubblico dell’attività bancaria (concezione originata dalla legge bancaria del 1938-38, secondo la quale la “raccolta del risparmio” e “l’esercizio del credito” erano “funzioni di interesse pubblico”);
- L’importante rielaborazione del concetto di “raccolta del risparmio” (definito come “l’acquisizioni di fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma”) riservata alla banche(art. 11);
- L’esplicita autorizzazione per le banche di esercitare “ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali”, fatte salve le riserve previste dalla legge (art. 10,3);
- Le rilevanti novità riguardanti la disciplina delle operazioni di credito e delle garanzie mobiliari assumibili per la concessione dei finanziamenti bancari. Viene, infatti, eliminata la maggior parte dei c.d. crediti speciali che caratterizzavano il nostro sistema (credito industriale, credito per le imprese di pubblica utilità, credito edilizio), riducendo le “speciali” operazioni creditizie al credito fondiario e alle opere pubbliche (artt. 38-42), al credito agrario e peschereccio (artt. 43-45) ed al credito sul pegno (art. 48).

Tratto da DIRITTO BANCARIO di Fabio Muzzolu
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