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Cinema italiano anni Settanta e crisi del capitale


Nei primi anni settanta si producono una miriade di titoli ma pochi ripagano gli investimenti; i successi sono dovuti per lo più ai generi popolari erotici e western. Il governo americano pratica consistenti sgravi fiscali ai produttori nazionali ritirando i capitali dai mercati esteri e da quello italiano favorendo il decollo di una nuova strategia produttiva a che si proietterà sul cinema mondiale con effetti devastanti per le produzioni di tutti gli altri paesi. Il mercato cinematografico mira sempre di più all’oligopolio. La storia del cinema italiano dagli anni settanta è una storia di progressiva marginalizzazione, ci si riduce nuovamente a passivi consumatori dei prodotti statounitensi. Si registra una crescente disaffezione ai prodotti nazionali e il ruolo della televisione diventa sempre più centrale. In Italia spariscono anche i grandi produttori salvo le eccezioni di Ponti o De Laurentiis, lasciando alle televisioni il ruolo di produrre cinema o ai coraggiosi imprenditori quasi sempre consapevoli di rivolgersi ad un mercato di nicchia.
Negli ultimi vent’anni i produttori che subentrano sono Cecchi Gori a cui subentra il figlio Vittorio, ma soprattutto le corazzate televisive come Mikado ma si troveranno un mercato sempre più sfuggente al cinema d’autore. Poche figure come Domenico Procacci e Lionello Cerri stanno cercando di istituire nuovamente la figura del produttore di cinema d’autore. Mai veri grandi produttori dell’ultimo trentennio sono Rai e Mediaset che hanno operato ance a sostegno di opere di qualità. Per la creazioni di serie televisive di successo Maresciallo Rocca, Commesse, la tv ha attinto alla tradizione del cinema del dopoguerra e della commedia all’italiana. Nel 1962 l’istituto Luce diventa una società per azioni e avvia la produzione di lungometraggi e film d’autore, sarà l’unica a tentare la produzione di fil per ragazzi affiancando alla produzione la distribuzione, investendo anche su esordienti e giovani.
Dalla fine degli anni settanta i capitali di rischio già non riconoscono le condizioni minimali che lo rendano un settore d’investimento remunerativo. Esordiscono una ventina di autori nell’ultimo ventennio per lo più sono figli d’autore e producono da soli i propri film. Manca ormai la fiducia nei propri mezzi che aveva caratterizzato la voglia di rivalsa nel dopoguerra; la figura classica del produttore è stata sostituita dal procacciatore di affari. Il numero di case di produzioni arriva a coincidere quasi con quello dei prodotti.
La principale casa di produzione sarà Reteitalia di fininvest ma ci vorrà poco a comprendere quanto più redditizie siano le opere comprate dall’estero. Saranno la mancanza di risorse ed il ritardo tecnologico a penalizzare la nostra produzione.

Tratto da STORIA DEL CINEMA ITALIANO di Asia Marta Muci
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