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Le reazioni al movimento studentesco - '68 -


Robert Lumley ha giustamente definito le reazioni iniziali al '68 come caratterizzate da panico morale. Il Corriere della Sera indicava in genere i militanti studenteschi come i cinesi, un termine che conteneva in sé tanto la minaccia rossa quanto il pericolo giallo. Presi nel loro insieme, i ceti medi erano atterriti da questa ribellione scaturita al loro interno. La stampa e la televisione declamavano senza fine contro gli studenti, rimproverando loro l'anarchia, la mancanza di rispetto, l'intolleranza. Lotte furibonde scoppiarono all'interno delle famiglie.
Il movimento studentesco poneva poi rilevanti problemi alla forza dominante della sinistra italiana, il PCI. Gli studenti erano chiaramente anticapitalisti ma erano quasi altrettanto ferocemente anticomunisti. Le reazioni partitiche comunque erano variegate, dalle condanne di Giorgio Amendola, che definiva il movimento irrazionale e infantile, al giudizio più cauto di Luigi Longo, che riconosceva la scossa che il movimento aveva dato al paese. Pier Paolo Pasolini si schierò contro gli scontri di Valle Giulia. Conclusioni
Anche gli studenti del Sessantotto erano in senso lato marxista, ma la loro era una lettura libertaria e iconoclastica del materialismo storico. Uno degli aspetti più significativi del movimento era dato dal fatto che per la prima volta una fetta consistente dei ceti medi si spostava su posizioni di sinistra. Durante l'ascesa del fascismo gli studenti avevano avuto il ruolo di dirigenti e sostenitori dello squadrismo anti – operaio. Gli studenti del '68, invece, ruppero, con i propri genitori, che certamente non erano fascisti ma erano stati favoriti dal miracolo economico e ne accettavano i valori. Il movimento aveva dunque un forte contenuto eversivo perché sfidava direttamente il modello di modernità che era apparso in Italia negli anni precedenti. Gli studenti, naturalmente, non erano perfetti, e i valori tanto sbandierati spesso rischiarono di sfociare in quello che Habermas chiamò fascismo di sinistra. Gli studenti, inoltre, non cercarono mai di incanalare la protesta per ottenere dei cambiamenti, perché la natura stessa della loro critica e della loro organizzazione, policentrica e radicale, non favoriva un loro possibile trasformarsi in un gruppo efficace di pressione per le riforme. Gli studenti italiani non erano, tuttavia, così utopisti da credere che avrebbero cambiato il mondo da soli e non pensarono mai di essere la sola classe veramente rivoluzionaria, cercando l'alleanza della classe operaia. Sotto questo punto di vista essi si differenziavano nettamente da gran parte del movimento studentesco tedesco, che reputava la classe operaia irrimediabilmente integrata, e dalle stesse tesi marcusiane che tendevano a definire nei gruppi sociali più marginali i soli soggetti rivoluzionari. Il movimento studentesco del '68, così, si spostò rapidamente dalle università (e da una loro possibile riforma) alle fabbriche: era lì, pensava il movimento, che si sarebbero combattute le battaglie decisive.

Tratto da STORIA CONTEMPORANEA di Gherardo Fabretti
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