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La figura del critico letterario : riflessioni

La figura del critico letterario : riflessioni



Chiude il testo una serie di sei ritratti di alcuni fra i critici più importanti del Novecento, italiani e non, nell’ordine: Ernst Robert Curtius, Giacomo Debenedetti, Carlo Dionisotti, Harold Bloom, Cesare Segre e Giancarlo Mazzacurati. Ferroni, attraverso ricordi e letture, ne evidenzia la portata innovativa, lo spirito critico e l’insegnamento ai posteri. Sei personalità che ci riportano indietro e che ci offrono lo spunto per comprendere quanto sia cambiata oggi la figura trascinatrice ed eminente del critico letterario. Critici di ieri e critici di oggi legati da un mandato che appare oggi offuscato e devastato da una logica sociale ed economica che schiaccia il sapere a beneficio del suo commercio e della tecnologia. Da Ferroni viene una proposta, quella di ristabilire il vecchio per guardare al nuovo, di porre basi certe attingendo dal passato per andare sicuri verso il futuro. A patto che, ovviamente, per riprendere il discorso di Carla Benedetti, non si parli più di morte e si inizi una nuova strada.
Capitolo I Per un eclettismo diffidente
La letteratura, nell’arco di tempo che va dalla giovinezza di F. fino ai giorni nostri, ha attraversato una lunga parabola, che inizia in un tempo in cui i giovani mostravano passione e sincero interesse per quello che sembrava un enorme scrigno ricco di sorprese, e termina in un periodo, il nostro, in cui la letteratura non sembra più essere considerata nemmeno arte. In mezzo, una lunga serie di fasi, dominate ora dalla tradizione storicistica, ora da quella marxistica e stilistica, ora da quella strutturalista e semiotica, ora da quella ermeneutica e decostruzionista.
Il problema di questa lunga sequela di teorie critiche è che hanno finito per fagocitare gli stessi testi che pretendono di spiegare, la stessa idea di letteratura, catturata e tassonomizzata in categorie sempre più stagne e acomunicative. La teoria letteraria dovrebbe andare di pari passo con la filosofia, da cui dovrebbe acquisire quel senso di curiosità perplessa e diffidente che però, inevitabilmente, genera quell’idea, ingenua eppure incancellabile, che la critica letteraria autentica possa realizzarsi solo attraverso un confronto con l’intero mondo della cultura, quello passato e presente. È un’idea ingenua e infantile certo, ma difficile da sconfiggere, poiché è nella stessa azione critica ad essere spinta da una molla totalizzante, da una passione irrefrenabile per l’esaustività, un voler vedere e capire l’intero sistema della cultura. Anche il critico più circoscritto, anche quello più discreto e microanalitico presuppone sempre il rinvio ad un’idea di totalità sotteso a ciò che analizza. Nessun critico potrà mai leggere tutto lo scibile umano, eppure molti, pur consci dell’”handicap”, non gettano libri che mai leggeranno, solo per quell’ossessione, inconscia e irrefrenabile, di voler leggere, un giorno, tutto il leggibile.
Questa angoscia, che Ferroni definisce l’angoscia della quantità, è stata enormemente dilatata dall’avvento di internet, la Babele definitiva, fatta di infinite serie di testi e immagini. E se anche l’aspirazione alla totalità è un’idea folle sin dai presupposti, è comunque innegabile che la rete abbia fornito un contributo determinante alla frammentazione del sapere, e quindi alla frammentazione del desiderio di totalità. Anche soffermandosi su un microargomento, già quello sarà invaso da una infinita bibliografia correlativa che da sola basta a far crollare le speranze del più resistente dei cultori.
Oggi il problema sembra l’esatto contrario. All’angoscia della quantità si è sostituita la certezza della discrezione. La specola dei critici, dal secondo Novecento un poi, tende invece a rinchiudere la globalità della letteratura in tante piccole e rassicuranti schede classificatorie, con la presunzione, altrettanto folle, che ognuna di essa costituisca un microuniverso stabile e totalizzante. È il critico che “l’ombra sua non cura” mentre tira dritto con la sua sicumera, che si nasconde dietro lunghe tirate tecnicistiche e tassonomie intertestuali ingarbugliate, quasi sempre basate su presupposti non verificati. Una teoria letteraria che, presa com’è dai suoi vaneggiamenti classificatori, dimentica l’oggetto stesso del suo studio, l’opera letteraria, ridotta a mero pretesto per le suggestioni personali del critico, privata della sua storia e della sua specificità.
In America, un manuale del 1995, individuava ben dieci tendenze teorico – metodologiche (dallo strutturalismo al poststrutturalismo decostruzionista, dal postmodernismo alla critica psicanalitica, dal femminismo alla lesbian/gay, dalla marxista, alla colonia, alla metodologica, al new historicism) in cui ogni volenteroso studente poteva trovare la sua strada eccetto quella che porta all’essenza dell’opera.
Siamo allora eclettici nell’analisi delle teorie letterarie, ma diffidenti, perché è altrettanto vitale analizzarne le contraddizioni e non prendere nessuna di esse come oro colato. Al di là di ogni genere di corrente, la letteratura va vista come una religione, mondana, laica e razionale, che tenga gli uomini lontani dal nesso perverso tra stupidità e potenza, tra fede cieca e tecnologia sofisticata.


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