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Rave party e discoteche come setting tradizionali d'assunzione di ecstasy


La ricerca sociologica sul consumo si sostanze è da sempre interessata a distinguere tra il SET e il SETTING d'assunzione. Per SET si devono intendere gli atteggiamenti verso la pratica dell'assunzione e le aspettative che l'individuo rivolge alla sostanza e ad i suoi effetti. Per SETTING, vanno invece intese le caratteristiche fisiche e sociali dello spazio in cui si svolge l'esperienza.
L'idea centrale è che a determinare l'esperienza come piacevole o spiacevole non siano soltanto le proprietà farmacologiche della sostanza, ma la competenza dell'assuntore nel riconoscere gli effetti e nel scegliere un setting appropriato per viverli. L'alterazione dello stato di coscienza non sarebbe quindi indotta semplicemente dalle qualità intrinseche alla sostanza, ma risulterebbe in modo determinante da una loro interazione con il complesso psicosociale costituito dal set e dal setting.
Ciò che può rendere le prime esperienze con l'ecstasy un paradiso oppure un inferno sono le peculiarità fisiche e sociali dello spazio in cui si svolgono.
I motivi che determinano l'esperienza con l' MDMA come bella oppure brutta sono identificati nel tipo di situazione sociale che essi si sono trovati a vivere sotto il suo effetto.
Per quanto riguarda il consumo di ecstasy, negli anni '90 i setting privilegiati sono sicuramente stati le discoteche ed i rave party.
L'elemento che ha catturato l'attenzione di chi si è occupato di rave party come specifici setting di assunzione di ecstasy è stato rappresentato da quella cultura vagamente neotribale ed orgiastica sottesa da questi eventi. I rave sono stati di frequente presentati come ritualità particolarmente innovative per le società moderne, apparentemente molto simili a quelle celebrate dai membri delle società segmentarie studiate da Durkheim.
Definizione, ad opera di Mike Brown, di RAVE: “un rave è un evento sociale, un fenomeno tipico della moderna cultura giovanile. In molti casi un rave è un dance party dove i partecipanti fanno esperienza di un senso di comunità e di innalzamento della coscienza grazie all'ascolto di musica e rispondendo alla musica con il libero movimento o la danza, un positivo cambio di umore, attraverso interazioni verbali-non verbali con gli altri partecipanti”.
Punti in comune con Durkheim: in primo luogo la musica ritmica ripetitiva e ipnotica, in secondo luogo la compresenza corporea di molti individui, in terzo l'alterazione dello stato di coscienza verso la trance dissociativa, in quarto la prevalenza di una comunicazione non verbale su quella verbale ed infine la periodicità nelle ripetizioni dell'evento. Anche tutta l'organizzazione del rave costituisce un elemento che sottolinea il suo aspetto di rituale collettivo.
L'accesso al party è privo di selezione, è accettato ogni tipo di abbigliamento o di acconciatura, il sincretismo è la parola d'ordine ed il detto che “ad un rave si trova di tutto” è vero.
Altro elemento importante è che al rave l'accesso agli spazi è assolutamente democratico. Eventuali luoghi diversi dalla pista da ballo sono chiamati chill-out e non, come in discoteca, privèe. Al rave nulla è privato, tutto lo spazio è pubblico ed il suo accesso non è soggetto a nessuna restrizione. Anche il dj, spesso identificato come il vero e proprio sacerdote di questa ritualità moderna, scende dall'altare su cui è generalmente posto in discoteca (la consolle), per sparire spesso dietro al muro delle casse.
L'abilità di un dj consiste nel far sì che il passaggio da un  brano all'altro sia il più indolore possibile, che i generi cui appartengono le diverse canzoni proposte siano simili e che avvenga in modo graduale il passaggio da un brano all'altro.
Un rave più che un free party è un ritual party che, attraverso l'esperienza dell'ebbrezza collettiva, crea un annullamento temporaneo dell'identità e dei ruoli consolidati, suggerendo la necessità di una loro ridefinizione. La ricerca necessaria per trovare il luogo del suo svolgimento, l'idea di far parte del gruppo, il modo comunitario di organizzazione degli spazi costituiscono un atteggiamento (set) ed un contesto (setting) molto propizi per l'assunzione di sostanze, la cui funzione è stata definita come empatogena: in grado cioè di sviluppare una comprensione emotiva e preverbale tra i suoi assuntori.
Il setting espresso dalla discoteca è molto diverso. In primo luogo non tutte le discoteche suonano al loro interno musica adatta all'assunzione di ecstasy. Solo quelle che nel gergo vengono definite discoteche di tendenza offrono al loro pubblico una musica dance adatta all'assunzione di MDMA.
Se nel rave party la selezione dei partecipanti è operata attraverso una pubblicità dell'evento elitaria e mirata, lo stesso non si può dire della discoteca, che invece, opera una reclamizzazione forte delle proprie serate. Ma, mentre nel rave l'ingresso non è soggetto a restrizioni, la discoteca, al contrario, opera una minuziosa cernita del suo pubblico. Tutta la ritualità si svolge al suo esterno come al suo interno è tesa a produrre e riprodurre meccanismi di distinzione sociale che stratificano in senso gerarchico i partecipanti. Maria Teresa Torti distingue tre momenti del processo di selezione che presiede sia l'ingresso alla discoteca sia il movimento al suo interno:
1.    L'attesa: è indice dell'appetibilità del luogo e incentiva l'entrata.
2.    Il filtro: la folla viene divisa in due file separate. Quella delle liste e quella delle persone non incluse nell'elenco.
3.    L'ingresso: integrazione.
In una ricerca, svolta da Maturo sull'uso di sostanze tra gli adolescenti bolognesi, emergevano due rappresentazioni distinte di rave e discoteche. I primi erano sempre associati ad atmosfere di armonia e condivisione, le discoteche invece, specie quelle considerate come setting tradizionali per il consumo di MDMA, erano dipinte come ambienti aggressivi e pericolosi. La ragione di queste differenze è da inquadrare proprio nella diversa struttura delle regole di accesso all'evento.
E' possibile ora tracciare un breve raffronto tra le pratiche rituali tradizionali e moderne di cui parlano Durkheim e Goffman. Non c'è dubbio che sia il rave più che la discoteca a configuarsi come un rituale sociale nel senso durkheimiano del termine. D'altra parte il rave come dice la parola stessa è una festa finalizzata al delirio o meglio all'estasi. Mentre le tradizioni filosofiche e religiose hanno sempre individuato in questo movimento il tentativo di raggiungere il divino, l'estasi che implica l'assunzione di MDMS ad un rave è del tutto sociale: la condivisione totale di uno stato psichico ed emotivo, capace di generare una forma di comunicazione non verbale intensa ed efficace.
Ma, se nelle società segmentarie l'effervescenza collettiva era alla base dell'ordine sociale, nella modernità questa prassi è inquadrata tramite le categorie della devianza. In un mondo sociale che fa del contegno lo stato di coscienza necessario all'ottenimento della fiducia, il rave non può essere visto che come attacco all'ordine istituito. Per questo motivo molti sociologi hanno parlato del rave come di un rito di tipo liminale, vale a dire come di uno spazio rituale inteso non come espressione della continuità dell'ordine sociale ma come una sua interruzione, una sua frattura.
Mentre i rave sarebbero stati pensati come eventi spontaneistici, comunitari e alternativi rispetto all'organizzazione della società individualizzata, le discoteche hanno rappresentato una riproduzione delle distinzioni e delle gerarchie tipiche della modernità avanzata.
E' possibile osservare una differenza degli effetti prodotti dal consumo di MDMA. Mentre nel rave il suo consumo dà spesso adito a momenti orgiastici di danza collettiva, in discoteca la danza sotto l'effetto di ecstasy non risulta un veicolo di fusione condividuale, ma un'esaltazione della propria individualità (es.: cubo) e una strategia di conquista sessuale.

Tratto da IL CONSUMO DI SOSTANZE PSICOATTIVE OGGI di Angela Tiano
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