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Intervenire per cambiare - Problemi epistemologici, teorici e deontologici della sociologia clinica


Le tre componenti della sociologia clinica sembrano essere, dunque, tre: il pluralismo teorico, la sua modulazione sulla base dell'immaginazione sociologica lungo l continuum micro-macro e l'integrazione metodologica. Allo stesso tempo, nascondono una serie di trappole. Un primo livello di rischio ha natura epistemologica e si colloca nelle pieghe di quel pluralismo teorico che, se non gestito bene, rischia di tramutarsi in eclettismo teorico. Non è qui in discussione la possibilità di una sociologia eclettica intesa come "un'unione di tesi fra di loro conciliabili, attraverso un'operazione che escluda ciò che non torna o non può essere accostato"; quanto ad una posizione che vuole combinare ogni cosa in una sorta di sincretismo totalizzante che includa tutto e il contrario di tutto. Quando ci appoggiamo ad alcuni paradigmi il rischio è presente: gli approcci devono essere coerenti tra di loro.
Un secondo livello di rischio ha invece natura teorica e riguarda il focus fondamentale del lavoro clinico, che è rappresentato dal comportamento ed in particolare da quei tipi di comportamento definiti come problematici da determinati soggetti o gruppi. La prospettiva utilizzata dalla sociologia clinica per affrontare tali problematiche è di tipo biopsicosociale, che comporta il riconoscimento dell'influenza sul comportamento e della reciproca interazione di tre diversi tipi di sistemi d'azione: biologici, psicologici e sociali. Sulla base di tale approccio il comportamento viene concepito come essenzialmente volontario, rifiutando ogni prospettiva definita "di tipo deterministico" che consideri l'azione individuale come il risultato di forze esterne, più che non delle scelte deliberate compiute da attori razionali che cercano di far fronte e adattarsi alle sfide ambientali sulla base delle opzioni disponibili. Se è vero che i comportamenti semplicemente non accadono, ma sono il frutto di scelte più o meno deliberate dei soggetti in relazione ad altri soggetti e alle condizioni poste da un determinato contesto, enfatizzarne eccessivamente la componente soggettiva individuale rischia di risolversi in una sorta di onnipotenza dell'azione del tutto illusoria, che tende a sottovalutare l'incidenze dei condizionamenti strutturali sull'azione.
Bisogna assumere il caso oggetto di studio in tutte e tre le dimensioni (bio-psico-sociale). Molto spesso non tutto è trasparente per noi stessi figuriamoci per chi ci osserva. Dietro alle azioni (con spiegazione) c'è un comportamento non logico che un osservatore dovrebbe riuscire a cogliere. Capire ciò che il soggetto razionalizza e ciò che invece non razionalizza tramite la sua condotta.
Un terzo livello di rischio per il sociologo clinico è rintracciabile nella dimensione etico-professionale insita in quella che si può definire la struttura dell'intervento sociologico: quest'ultimo crea infatti una nuova situazione sociale nella quale si viene ad instaurare una relazione fra un soggetto che è portatore di un determinato problema ed un altro soggetto che è chiamato ad aiutarlo per risolverlo. Si tratta di una relazione di natura professionale, nella quali il primo soggetto rivestirà il rulo di cliente ed il secondo di professionista. tale relazione, per sua natura spesso asimmetrica (data dall'incertezza) si viene ad intersecare in maniera problematica con l'altro ruolo rivestito dal sociologo clinico: quello di agente di mutamento.

Tratto da LA SPENDIBILITÀ DEL SAPERE SOCIOLOGICO di Angela Tiano
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