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Il De pictura di Leon Battista Alberti

Il De pictura di Leon Battista Alberti


Datato 1436, è la più antica espressione teorica del Quattrocento, anteriore anche al Ghiberti. Reca all'inizio una dedica al Brunelleschi che esprime chiaramente lo scopo che l'Alberti persegue nel suo scritto: dare ai contemporanei ciò di cui più sentono la mancanza in confronto agli antichi, vale a dire la regola e il sistema delle arti figurative. Alberti, però, vuole parlare al popolo come pittore e non come matematico, anche se tratta degli immutabili fondamenti teoretici dell'arte. Notevole è la sua confessione, nel II libro, di dedicarsi alla pittura solo nelle ore di ozio, solo come dilettante (e Vasari dà un giudizio piuttosto negativo sull'abilità pittorica dell'Alberti). La sua è una trattazione basata principalmente su Euclide, ma non mancano caratteristiche di indipendenza ed originalità.
In una introduzione notevole, Alberti fa una distinzione oggettiva tra la forma presente e la forma apparente, che va interpretata alla luce della moderna psicologia del sentimento. La prima è palpabile, stereometrica; la seconda ottica. La forma apparente ha proprietà mutabili, subordinate alla variazione di luogo e di luce e si riconnette alla teoria dei raggi visivi, trattata nella maniera usuale perchè non era ancora intervenuto Benedetto Castelli, che nel 1600 la porrà su basi scientificamente moderne.
Segue un breve paragrafo sui colori che contiene qualche osservazione sottile, ad esempio quella sui riflessi su un prato verde. Alberti distingue quattro colori principali: rosso, azzurro, verde e giallo, che vengono posti in corrispondenza dei quattro elementi, alla maniera medievale. Contrariamente alla dottrina aristotelica, il bianco ed il nero non sono considerati colori ma modificazioni della luce. Segue la moderna definizione naturalistica della rappresentazione pittorica come di una sezione trasversale ottenuta mediante la piramide visiva, che dimostra come l'Alberti sia completamente nel suo tempo e nel suo ambiente fiorentino. È una dimostrazione condotta matematicamente con grande ampiezza, e l'applicazione all'arte figurativa è nuova, non riconnettibile all'antichità. Kern ha provato come il Trecento italiano, specie quello senese, aveva compiuto già dei passi in tal senso.
Alberti è ancora imperfetto nel suo metodo della costruzione prospettica e della determinazione del punto di vista, ma il suo scritto darà principio a quella serie infinita di scritti sulla prospettiva artistica che si protrarrano fino al Settecento. Nel II libro segue la sistematica della pittura. Anche qui Alberti è capostipite dei numerosi sistemi della teoria dell'arte che sboccheranno nell'estetica classicistica dei secoli XVIII e XIX. Alberti divide la pittura in tre parti: contorno lineare (circonscriptione), composizione dei piani (compositione) e modellatura dei corpi nella luce colorata (receptione dei lumi).
Nella prima parte parla del velo, cioè dell'espediente di cui egli si vanta espressamente come autore, anche se sappiamo che era conosciuto anche dal Ghiberti. Nella seconda parte parla della teoria della proporzione, che trova nell'anatomia un fondamento solido e nuovo. Alberti insegna il procedimento, già in uso nella Rinascenza (VIII – X secolo) di tracciare prima le figure nude, cominciando con una conoscenza sicura della posizione delle ossa, dei tendini e dei muscoli, e solo dopo di rivestirle.
La terza parte parla del colorito e ha anch'essa caratteri schiettamente fiorentini. Si accentua soprattutto la rigorosa modellatura plastica, il rilievo, per amore del quale si raccomanda la massima parsimonia nell'uso della luce e delle ombre più intense. Anche l'armonia dei colori è tipicamente fiorentina, con un accordo di rosa, verde e celeste. Controcorrente si rivela nel suo mettere in guardia contro le eccessive dorature pure, che tollera solo in ornamenti e parti architettoniche di secondo ordine, a differenze dell'epoca sua, che dell'oro puro faceva largo uso.

Tratto da STORIA DELLA CRITICA D'ARTE di Gherardo Fabretti
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