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Comunita' senegalese e cure all'infanzia


La civiltà senegalese presenta una struttura di tipo patrilineare a cui deve aggiungersi un identità nazionale frammentata perché la popolazione stessa è divisa in etnie anche molto differenti tra loro con profondi retaggi dell’antica presenza di gerarchie organizzate in caste. Da un lato quindi la storia, le tradizioni di un popolo così fortemente variegato al suo interno e dall’altro la colonizzazione francese e il veloce sviluppo economico che hanno importato stili di vita nuovi, legati alla modernità. La tradizione si è però mal coniugata con la molteplicità di ruoli e funzioni che la vita occidentale richiede. La famiglia senegalese di tipo patriarcale vede il padre, marito, fratello come capo autorevole e indiscusso. La legge riconosce due forme di matrimonio: quello monogamico e quello poligamico; il secondo sta però scomparendo a causa dei forti oneri che comporta. Infatti per legge chiunque abbia la fortuna di lavorare deve mantenere pena l’esclusione del gruppo (clan) a cui appartiene non solo mogli e figli ma anche tutta la famiglia allargata che ne rappresenta la formazione sociale per eccellenza quindi parenti, affini  e amici bisognosi. Non a caso infatti questa comunità è quella che maggiormente invia un grande quantitativo di denaro verso il paese di origine perché non farlo sarebbe una vergogna. Esistono molti gruppi etnici in Senegal; almeno 6 sono i più conosciuti:
1.    Wlof : è il gruppo etnico più numeroso, ancora fortemente legato alle caste benché abolite per legge da molti ani. Ha il più alto tasso di scolarizzazione e la sua struttura sociale si basa sulla famiglia allargata con capo famiglia, fino ad un massimo di 4 mogli parenti e affini.
2.    Serere: caratterizzata per la maggior parte da contadini, agricoltori e allevatori.
3.    Toucuoleur: sono stati soggetti ad un urbanizzazione coatta o ad un emigrazione all’estero.
4.    Peul: gruppo caratterizzato dalla pastorizia nomade.
5.    Diola: da sempre società senza capi né caste né schiavi (è vista come una comunità marginale)
6.    Lebou: la cui vita ruota attorno alla  pesca e all’ agricoltura.

Queste etnie sono praticamente tutte islamiche pertanto parlano il francese, i dialetti che alle volte sono molto differenti tra loro e l’arabo classico. Oltre a questa religione ormai profondamente diffusa non vanno dimenticate tutti i riti e le credenze tradizionali legate al mondo degli spiriti, degli antenati che si rincarnano quindi animiste. Ad esempio presso i Diola i bambini che devono nascere sono le anime degli avi  che a causa di una morte precoce o di una trasgressione commessa in vita errano  in cerca di un ventre femminile che li possa ospitare permettendo loro di reincarnarsi e perpetrare un nuovo ciclo di vita. (Rollet, Morel 2000 in chinosi 2002pg 147)
Essendo il capo famiglia l’elemento alfa del clan anche durante l’emigrazione le donne devono chiedere il permesso al marito per uscire da sole o frequentare altre persone. In caso di incomprensione tra moglie e marito essendo la famiglia non nucleare ma allargata saranno gli zii a fare da mediatori (discendenza e lignaggio patrilineare. = dal latino linea, linea di discendenza. In antropologia delle società complesse ed in etnologia per lignaggio si intende la struttura sociale delle società segmentate (semplici) cioè organizzate secondo strutture di discendenza di tipo patriarcale o matriarcale. Esempio classico è il lignaggio patrilineare della società Nuer studiata da Evans Pritchard: si parte da un capostipite uomo e si segnano sull’albero genealogico figli maschi e figlie femmine ma si segue solo il destino dei figli maschi e quindi sull’albero si segnano solo lei matrimoni ed i figli degli eredi maschi; questo perché le figlie femmine non potendo sposare i propri fratelli sposano uomini di altri lignaggi. Il lignaggio è la struttura portante della società Nuer ed è quindi prevalente rispetto ad altri legami sociali come il matrimonio.). La preparazione del corredino non è cosa solo della mamma ma appartiene all’intero clan familiare così come la preparazione del marsupio che fa si che il bambino resti il più possibile a contatto diretto con la madre. La gravidanza dunque è molto sostenuta dal sistema familiare: in Italia la donna invece si sente spesso sola e così le aspettative, il sostegno di tutta la rete familiare allargata era non solo indispensabile perché forniva un aiuto concreto ma condizionava proprio il desiderio di maternità della donna che diventava così di tutta la famiglia e si può dire perfino della società che la condivideva con lei ( Vegetti Finzi 1997 in chinosi 2002 pg 149)  come se il “prodotto” fosse conforme ad un modello deciso e organizzato dalla comunità e riscritto dalla madre. Si può dire quindi che esista un vero e proprio codice sanitario, etico, estetico, preventivo e teratologico al quale partecipa l’insieme della rete parentale e comunitaria ( Ewonbè-Moundo, in Rollet, Morell in Chinosi 2002 pg 150). La cosa interessante è la gestione comunitaria della nascita: l’inquietudine che caratterizza sovente lo status di donna incinta può essere mitigato proprio dall’insieme della società, in questo caso il clan parentale allargato, che in tal modo può condividere con la donna pensieri, paure, gioie, sostenendola e accompagnandolo in modo da far scorrere la gravidanza in un “involucro di tranquillità” ( Rollet, Morel in Chinosi 2002 pg 148). Oltre a questa funzione tranquillizzante della famiglia c’è anche quella contenitiva svolta dalla medicina tradizionale: rimedi come i massaggi col burro di karitè o il karkadè che aiuta a partorire bene. Il riposo, l’evitare le emozioni troppi forti o gli odori forti sono pressoché sempre presenti e più si avvicina il momento del parto più si ricorre a riti propiziatori che attingono al mondo simbolico della tradizione; questo insieme di esperienze contenitive date dalla medicina tradizionale e dalla presenza della rete familiare permette che l’esperienza del parto tra le mura domestiche non risulti traumatica anche perché i pochi ospedali presenti coprono solo in minima parte la domanda. In un contesto migratorio invece il fatto di non possedere il caldo abbraccio familiare e comunitario  fa si che venga sempre addebitato alla comunità ospitante di non comprendere, di non farsi carico delle necessità dei loro bambini. Il percorso e l’attesa condiviso e supportato dalla famiglia e dalla comunità intera dovrebbe trovare un nuovo contenitore nella presa in carico sanitaria ma non è così. Viene infatti generalmente chiesto loro di accettare velocemente nuovi ruoli e nuovi contesti così che i due codici culturali non riescono ad entrare in comunicazione. Dopo il parto c’è la festa del settimo giorno, che però non coincide con quella in cui verrà dato il nome al bambino; si torna presto in casa che però non è, almeno in Italia, quel harem domestico di cui sentono tanto la mancanza e percepiscono invece come sovraffollamento abitativo. Sono abituati a stare in più persone sotto lo stesso tetto visto la natura della famiglia allargata, spesso dormono tutti insieme ma sempre e solo tra parenti. Spesso invece in situazione di emigrazione succede che per poter mandare i soldi ai familiari si trovano costretti a vivere con altre persone, connazionali sconosciuti viene quindi a mancare tutta quella sfera di privacy necessaria ad esempio alle abluzioni islamiche e soprattutto non c’è differenziazione tra la parte pubblica, destinata ai maschi, e quella privata tipicamente femminile. Il bambino non appartiene mai solo alla madre neppure come lattante: come ci dice una delle mamme intervistate “da noi i bambini vengono educati da tutti”. (Chinosi 2002 pg 156). Lo svezzamento coincide con una delega pressoché totale della sua cura alle altre donne di casa: zie, cognate, figlie maggiori altre mogli o suocera che entrano in contatto fisico col bambino durante tutto il giorno. Si tratta del c.d. “fenomeno del bambino circolante” ( Goody 1978  in Chinosi 2002 pg 156) è la presa in carico dei bambini dopo lo svezzamento da parte dei consanguinei diversi dai loro genitori. La struttura della famiglia allargata senegalese permette una crescita omogeneamente femminile mantenendo così al contempo i legami comunitari originari attraverso la donazione intra- parentale dei bambini. Il moltiplicarsi di funzioni materne e paterne, svolte a turno dal gruppo familiare nel suo complesso non sembra portare confusione sul senso di appartenenza e sull’identità che viene data dalla condivisione e trasmissione del senso comune attraverso il quale tale esperienza è vissuta: essere interdipendenti e solidali all’interno della famiglia allargata ( Chinosi 2002 pg 156). L’ ambiente primario che il bambino consoce è il corpo della madre in una coincidenza assoluta tra i suoi desideri i bisogni e le capacità materne di rispondere in modo adeguato: se tale esperienza risulta soddisfacente il bambino costruisce una buona rappresentazione di sé e del mondo “altro” da mamma che lo circonda. E’ proprio il fenomeno del bambino circolante che produce uno sviluppo motorio più precoce che nelle società occidentali. Per la sua sopravvivenza infatti il bambino deve imparare un abilità sociale importantissima: quella di saper interagire con gli altri membri della sua famiglia come persone sociali, dimentico delle emozioni e dei  sentimenti che prova invece per ciascuno di essi in quanto persone individuali. (Costarelli, 1997 in Chinosi pg 157). Il bambino quindi passa di mano in mano senza che nessuno scambio verbale sia necessario per sottolineare tale gesto. La mamma africana non fa del suo piccolo una sua proprietà esclusiva, anche se quando è il momento del nutrimento non è mai lontana ( Rollet, Morel 2000 in chinosi pg 157). La fase della dipendenza dalla madre viene interrotta bruscamente dalla comparsa di un nuovo nato per lasciare il campo ad altre figure significative di riferimento (di solito sorelle maggiori) che si fanno carico di instaurare una relazione stretta col bambino in modo da sanare la separazione appena sperimentata (Chinosi2002  pg 157) il padre entra per la prima volta nella vita del figlio solo a partire dalla circoncisione. Ciò che più manca alle mamme senegalesi intervistate nel paese ospitante è il poter ricostruire quella fitta trama di reti familiari e sociali in grado di fornire il sostegno e il contenimento necessario. A differenza delle mamme tunisine però le mamme senegalesi anche se a loro malincuore, hanno bisogno dell’asilo e si sentono non più mamme a tempo pieno ma neanche donne del nuovo mondo straniero. Questa condizione di liminalità fa si che esse debbano necessariamente mediare anzitutto con sé stesse, al fine di ricostruire una cornice culturale rielaborata da poter fornire anche ai loro bambini. Infatti i bambini africani soffrono molto spesso perché anche se nati in Italia vengono riportati nel loro paese di origine e spesso il ricongiungimento in età scolare crea non pochi problemi legati ad una vulnerabilità psicologica, segnati come sono da laceranti processi di separazione precoce, riorganizzazione dell’identità, lutto e nuove modalità di attaccamento a figure parentali pressoché sconosciute. Mandare i bambini all’asilo mette di malumore le mamme senegalesi sia perché nel pese di origine è la famiglia allargata che si prende cura del bambino sia perché islamici e le regole attinenti alla carne di maiale provocano spesso disagi ai propri figli che non capiscono perché gli altri bambini mangiano il prosciutto e loro no. A tal fine alcune associazioni sindacali del nord Italia si sono organizzate al fine di creare una cooperativa senegalese di servizi per la prima infanzia in modo da tenere conto delle esigenze culturali e religiose di questa comunità ma anche per mandare ai bambini un messaggio omogeneo di uniformità culturale educativa, che tenesse conto delle differenze di orario delle fabbriche in cui queste donne lavoravano al fine di scongiurare un rimpatrio prematuro per i piccoli ( Chinosi 2002 pg 162). Le mamme africane hanno un modello educativo di cura ad alto contatto per cui tendono a tenere sempre con se i propri piccoli anche attraverso i massaggi con il burro di karitè secondo una sua organizzazione e logica ( dal capo e viso poi le gambe la schiena e la pancia per favorire la respirazione ed evitare le coliche). Il forte legame con il corpo materno accompagnato da stimolazioni tattili sonore e visivi e favorisce lo sviluppo motorio e il distacco autonomo dalla cerchia della famiglia per poterla poi ritrovare  in un gioco di separazione e ricongiunzione che conferma il ruolo di buon contenitore della madre. Fin dal’inizio la madre parla col suo bambino organizzando attorno a lui un involucro sonoro omogeneo e il bambino entra così in contatto con una rappresentazione del mondo mediata dalla madre: i bambini giocano tutti insieme con fratelli e cugini sperimentando così le prime separazioni; ma se la madre è stata competente loro potranno sempre tornare a quel porto sicuro che è la famiglia. Il rapporto con la malattia è legato al mondo magico, il che ricorda la  tradizione italiana ottocentesca che vedeva la malattia e la disgrazia come risultato di forze ostili esterne ed estranee alla capacità materna di contenere e sostenere la crescita del bambino. La funzione contenitiva delle ansie materne viene svolta meglio se la fonte del disagio appartiene all’ignoto. Scrive De Martino nel 1959 “fascinazione,  possessione esorcismo fattura e contro fattura sono da ricondurre all’insicurezza della vita quotidiana e all’enorme influenza del negativo nella carenza di prospettive realistiche in grado di fronteggiare momenti critici dell’esistenza (..) il momento magico soddisfa il bisogno psicologico mediante tecniche che fermino la crisi in determinati e finiti orizzonti mito- culturali occultando la storicità del divenire e la consapevolezza della responsabilità individuale. (in Chinosi 2002 pg 169)

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