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Comunità Rom e Sinti e cure all'infanzia


La ricerca presentata in questo libro si riferisce a un gruppo di rom e sinti italiane molto eterogeneo di alcune carceri femminili del nord Italia. Nei campi nomadi le figure di riferimento dei clan sono le figure maschili e in particolar modo i padri/mariti che rappresentano il nucleo ordinatore del micro sistema familiare, ma anche la suocera quale vera matriarca del macro sistema allargato dal quale dipendono i ritmi quotidiani dei figli, nuore e nipoti. Il bambino zingaro è sempre a contatto con il corpo della madre: nella cultura occidentale la fase di dipendenza assoluta, cioè quella in cui c’è proprio una fusione tra madre e bambino, è piuttosto breve rispetto a quella allungata delle mamme di origine rom/sinti (fino a 8/14 mesi). In questa fase ritenuta fondamentale i bambini che cercano l’ indipendenza vengono dissuasi e invitati a mantenere lo stretto legame con la madre il cui corpo rappresenta tutto: il gioco, la nutrizione ecc..In breve il corpo della madre nella concezione rom/sinti è la fonte unica delle esperienze vitali del bambino. Ma parlare di zingari è più difficile di quanto si possa credere: si tratta di un popolo alle prese con il dramma di essere senza patria in cui si confondono varie etnie e culture; si dividono tra l’esigenza di mantenere segreta la propria cultura rispetto ai gaji, anche e soprattutto grazie alla lingua che assume delle sfumature che chi non è gitano non può capire anche se impara alcune parole di romanes. Allo stesso tempo però queste persone si trovano a fare i conti con la naturale tendenza alla vita sociale e all’integrazione per cui negli anni hanno sviluppato una capacità di mimetizzazione che gli ha permesso di adattarsi agli usi dei paesi ospitanti; qualcuno ha smesso di errare anche a seguito delle campagne di sedimentazione. Le mamme intervistate sottolineano come i rom non usano modalità di controllo delle nascite, al massimo c’è l’interruzione di gravidanza ma comunque è una cosa che riguarda solo la seconda parte della vita fertile di una donna: la prima infatti è al contrario centrata sull’alto numero di figli; più figli ci sono, più il clan è potente. Al momento delle nozze c’è una specie di fuitina nel senso che i due ragazzi che hanno il divieto di rapporti prematrimoniali fuggono e preparano le nozze che verranno ricomposte in chiesa o attraverso la convivenza. A questo punto un anziano del clan familiare fa da mediatore e stabilisce il prezzo della sposa e della dote che può essere anche molto esoso per cui la donna ha il dovere di ripagarlo con i figli e con i servizi domestici; come logica conseguenza del prezzo pagato, i figli rimangono sempre con il padre. Dopo il matrimonio la sposa appartiene allo sposo e perde i legami con la famiglia di origine. In questo modo si entra nella famiglia del marito e se ne esce solo quando un altro figlio della famiglia dei suoceri si sposa e una nuova nuora arriva nella casa dei suoceri liberando così la donna dall’impègno di servirli. Mentre il figlio maschio è considerato un dono perché resterà sempre in famiglia, la femmina al contrario è vista come un investimento in perdita, visto che il denaro della dote sarà versato solo una volta e la figlia si perderà per sempre. Il rapporto con la salute vede la mescolanza della medicina tradizionale e quella occidentale. Per tradizionale si intendono certe pratiche o credenze molto vicine a quelle della nostra tradizione popolare come quella le voglie (si devono sempre soddisfare pena il malocchio: la donna potrà vendicarsi di chi non ha esaudito i suoi desideri facendogli venire un orzaiolo). Si tratta di una cultura che si muove sempre tra il rifiuto dell’omologazione e la tendenza alla mimetizzazione per la propria sopravvivenza. Benché tutto il clan porta la gravida a partorire esso rimane sempre un affare di donne: la rete familiare e sociale e molto forte soprattutto per via del potere matriarcale delle suocere che all’uscita dall’ospedale le ospita. La cultura rom da molta importanza all’impurità e allo sporco quindi appare evidente l’importanza che riveste il puerperio: le donne escono subito dall’ospedale, anche il giorno dopo, a testimonianza che preferiscono gestirsela tra di loro; tuttavia c’è una settimana di riposo per la puerpera e comunque per 40 giorni dovrà fare molta attenzione alla sua salute. Anche i rom ad esempio temono la luna che, come nelle pratiche popolari dell’ottocento, sembra avere un effetto negativo sul bambino. Dopo questo momento di separazione c’ è il rientro nella comunità di appartenenza e l’accettazione del piccolo nella società dei vivi: tali festeggiamenti si hanno dopo la quarantena e variano a seconda dell’appartenenza religiosa. I cattolici eleggono un  padrino e una madrina che si occuperanno del battesimo mentre la madre aspetta sull’uscio che gli venga riconsegnato il figlio dopo aver preparato il pranzo per tutte le persone che sono andate in chiesa. Nelle comunità mussulmane invece c’è la festa del Sunet che coincide con la circoncisione sempre a partire dal 45 giorno. Al posto della circoncisione ci può essere il taglio dei capelli sia per i maschi che per le femmine e il padre dovrà bere dal bicchiere in cui sono stati messi i capelli tagliati del figlio. Le bambine possono frequentare la scuola solo fino a 12 anni perché c’è il rischio che più tardi si innamorino di un gaji e quindi sporchino il loro sangue con l’impurità di chi non  è zingaro. Il bambino non ha di questi problemi e, una volta divenuto ragazzo, potrà decidere se adattarsi all’omologazione oppure no. La differenza tra maschi e femmine quindi si inizia a sentire in età scolare, verso i 7 anni quando le bambine, a differenza dei maschietti, sono chiamate a stare con la mamma e imparare le cose da donna; al massimo possono fare dei giochi di società, sempre fortemente caratterizzate da norme strette e rigide. Anche le mamme rom usano il pronto soccorso solo quando strettamente necessario; si servono inoltre sia di prescrizioni di medicina ufficiale che di pratiche magico- rituali che nell’insieme offrono loro un valido sostegno emotivo e di contenimento delle ansie materne.

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