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La natura di fondo dello spettatore/interlocutore



Nel suo darsi il testo dimostra non solo d’esser in grado di far cenno a qualcuno, ma anche d’aver bisogno di colui al quale si rivolge: mai come qui un segno d’intesa va ritenuto anche una richiesta d’aiuto; ma qual è l’effettiva consistenza di questo complice necessario, la sua natura di fondo? La risposta sembra dover imboccare due strade giustapposte: si può pensare all’interlocutore:
- come a un partner che il testo trova ai suoi bordi, la dove i segni cedono il passo alla vita – e quindi qualcuno in carne ed ossa –;
- come a un contorno che il testo disegna entro i suoi stessi margini, sulla pagina, sulla tela, sullo schermo – e quindi una realtà fondamentalmente simbolica.
Se optiamo per la prima soluzione, riusciamo a fare bene i conti con le attitudini che il testo richiama e con i comportamenti che esso innesca, riusciamo insomma ad avere una prova circostanziata del fatto che la lettura e la visione sono il luogo di un’attività piena, più che di una mera adeguazione al già detto, al già scritto, al già mostrato; ma se questa è la scelta, bisognerà anche riconoscere che esiste dell’altro, ovvero un progetto collocato magari tra le righe che prepara e sostiene le regole del gioco, che inscritto nel testo ne prefigura la destinazione e quindi ne costituisce già un modello d’ascolto. Si dovrebbe allora mutare opzione e lavorare sulla piega dei segni?
Vedere l’interlocutore in un contorno disegnato dal testo porta certo a dei vantaggi: permette di scoprire dei fili sommersi ma non per questo meno netti e di notare delle figure dallo statuto un poco speciale nell’ambito del discorso, insomma permette di seguire dappresso il lettore implicito e l’immagine del pubblico; tuttavia anche questa scelta si rivela a sua volta incompleta: mentre porta a indagare su chi si muove al centro del quadrato, non registra chi se ne sta appostato ai margini, mentre si affida a degli indizi e a dei simboli trascura e perde il loro possibile riscontro.
Il dilemma tra i due itinerari sembra allora obbligare ad una sorta di circolarità; se questa è la strada, il bisogno di un interlocutore da parte di un testo va inteso sia come la ricerca di una presenza da riassorbire poi nel gioco, sia come la proposta di un disegno da far valere poi come guida alla fruizione.
Tale circolarità ci ricorda da vicino il modo in cui viene affrontata da Benveniste la figura del locutore: l’io è la traccia di una presenza concreta – un rinvio a chi si sta impadronendo delle virtualità della lingua – e insieme una pura marca grammaticale – ciò che segnala il farsi del discorso, il suo essere in funzione – , un segno vuoto a disposizione di chi muove le carte e insieme un momento semplicemente autoriflessivo all’interno del testo.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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