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Riso Amaro e Il re dei giardini di Marvin: l'apertura dei film




° l’avvio in piano sequenza di Riso amaro:
Un uomo in P.P., rivolto alla m.d.p., elenca alcuni dati sulla coltivazione del riso nell’Italia settentrionale; una frase(“Qui Radio Torino”) e un carrello indietro rivelano che si tratta di uno speaker radiofonico che dal tetto di un vagone ferroviario racconta in diretta l’arrivo delle mondine a un centro di smistamento; una panoramica scopre un ampio tratto della stazione con il via vai delle mondariso tra i binari, mentre la voce dello speaker ormai fuori campo intervista una ragazza; il movimento di macchina continua in una gru verso il basso fino ad inquadrare due uomini(che dal dialogo verremmo a conoscenza siano poliziotti che danno la caccia ad un ricercato) che parlano tra loro.
° l’inquadratura che apre Il re dei giardini di Marvin:
Un uomo in P.P., con gli occhi alla m.d.p., racconta un’avventura della propria infanzia; la narrazione prosegue tra lunghe pause, a metà tra la confessione e lo scavo nella memoria; qualche gesto dell’uomo rivolto verso lo spazio off, una luce rossa intermittente e un cambio di campo ci fanno scoprire che siamo nella sala trasmissione di una stazione radio; quel che l’uomo ha raccontato in prima persona è probabilmente un’invenzione per trattenere gli ascoltatori.


Se c’è qualcosa che caratterizza queste due aperture di film, è che entrambe si rivolgono direttamente a quel che dovrebbe essere il loro spettatore, guardandolo e parlandogli dallo schermo, quasi a volerlo invitare a prendere parte alla vicenda. Sia l’una che l’altra tentano un gesto di interpellazione, e cioè chiamano in causa qualcuno affermando di riconoscerlo e chiedendogli di riconoscersi quale proprio interlocutore immediato, e lo fanno attraverso uno sguardo e delle parole in macchina1, e andando incontro ad alcuni rischi, dato che mettono in campo un procedimento che viene tradizionalmente considerato come:
- Punto di incandescenza. Infatti, qualunque siano i motivi che li determinano, gli sguardi e le parole in macchina hanno il potere di accendere le strutture portanti di un film: sia perché arrivano ad indicare ciò che viene solitamente nascosto; sia perché arrivano ad imporre l’apertura al solo spazio irrimediabilmente altro, all’unico fuoricampo che non può esser trasformato in campo, alla sala di fronte allo schermo; sia perché arrivano a operare uno strappo nel tessuto della finzione, grazie all’emergere di una coscienza metalinguistica che svelando il gioco lo distrugge.
- Punto di interdetto. Proprio perché rivelazione di un presupposto taciuto e da tacere, perché tentativo indebito di invadere uno spazio separato, perché lacerazione di una trama da conservare intatta, gli sguardi e le parole in macchina vengono percepiti come infrazione di un ordine canonico.

Sembra dunque che l’interpellazione non convenga al normale andamento della comunicazione cinematografica, tuttavia un simile divieto non si manifesta in modo costante; esso varia ad esempio in relazione:
- alle forme che assume l’interpellazione: lo sguardo in macchina è considerato con più cautela di una didascalia o di una voce off che si rivolgono ad uno spettatore per informarlo, sollecitarlo, esortarlo;
- ai luoghi in cui l’interpellazione appare: a livello di generi, di regimi discorsivi, e di mezzi impiegati.
Siamo dunque di fronte ad un piccolo giallo: abbiamo due brani che chiamano in causa lo spettatore nella maniera più diretta possibile, e scopriamo dapprima che i meccanismi messi in opera sono marcati da un interdetto, poi che l’interdetto funziona quando vuole.
Cominciamo col dire che davanti a questo apparente capriccio le motivazioni che avevamo iniziato a dare, e che riprendevano quelle solitamente date, non bastano: per capire se, quando e perché viene chiamato in causa lo spettatore, o a quali condizioni gli viene assegnato uno spazio d’azione, non è sufficiente riferirsi
- a un lavoro che il film tenderebbe a negare,
- o a un luogo che il film tenderebbe ad escludere,
- o ad un personaggio che il film tenderebbe a nascondere;
Bisogna invece rinviare a un terreno più complessivo, quello dell’enunciazione cinematografica, cercando qui un principio di spiegazione.


Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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