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L'enunciazione enunciata del film

L'enunciazione enunciata del film



Chiusa questa lunga parentesi sull’enunciazione, possiamo ora tornare ai problemi di partenza: due sequenze filmiche d’apertura in cui si guarda lo spettatore direttamente negli occhi, tramite l’interpellazione. In rapporto al quadro appena delineato lo sguardo in macchina e più in generale l’interpellazione possono ben apparire come un caso di enunciazione enunciata: le coordinate che situano un film a partire dalla sua enunciazione non solo si inscrivono in esso, ma vi diventano anche dei segni espliciti e portanti; in particolare la destinazione si manifesta nel gesto di rivolgersi a qualcuno, e il qualcuno a cui si rivolge si fa meta avvertibile. Non ci resta che ripercorrere passo dopo passo i nostri brani.
Da un lato notiamo che nelle nostre due sequenze l’enunciatario assurge a una sorta di pienezza di vita: si afferma e si installa nell’enunciato, nella forma di una destinazione palese, senza tradire con questo la propria identità; emerge cioè la dove le sue tracce si possono cogliere apertamente anche se non sono ricoperte da una figura, e precisamente sulla direttrice di uno sguardo che oltrepassa lo schermo, nel campo in faccia a quello inquadrato: per intenderci, in uno spazio certo pieno, ma di cui non si danno i singoli contorni, e nel quale egli può operare per quello che gli compete, come puro punto di vista; nello stesso tempo le due sequenze arrivano a caratterizzarsi per le forme del commento, e non del racconto: quasi a voler ripercorrere gli andamenti del dialogo, mettono subito le carte in tavola, e adottano l’io e il tu.
Dall’altro lato, però una tale caratterizzazione appare ben presto come provvisoria, non tanto per l’impossibilità del cinema di percorrere certi sentieri fino in fondo, quanto perché la strada imboccata dai due film punterà ad un nuovo obiettivo; lo si poteva sospettare fin dall’inizio, dal momento in cui i due uomini in P.P. recitano la alla m.d.p. delle storie, il sospetto si rafforza poi quando ci si accorge che i due uomini parlano alla radio, e poi trova conferma nell’intervento di piccole svolte:
- gli sguardi e gli ammiccamenti a lato che puntano a ridurre lo spazio off a spazio diegetico,
- il tratto finale di un movimento di macchina che scopre due personaggi in P.A. già del tutto impregnati di finzione,
- i ritmi e le esitazioni nella recitazione.
Da questo punto in poi le marche dell’enunciazione torneranno ad operare in silenzio, ogni elemento a vista servirà a far funzionare una storia, e la forma che si imporrà sarà quella del racconto puro; ma lo sguardo e le parole in macchina non saranno passate invano: nessun controcampo mostrerà colui al quale i personaggi si sono rivolti (neppure quel controcampo sui generis, in cui si vedono gli ascoltatori della trasmissione radiofonica) e potremmo sempre contare sull’esistenza di qualcuno che vive anche senza contorni: un punto di vista, il segno di un enunciatario.
Le nostre sequenze inaugurali dunque sembrano stabilire, assumendo la funzione di ciò che spesso e bene apre un discorso, e cioè di una dedica; esse sanno ciò che conta, e lo vogliono far notare:
- sanno che è l’enunciazione che fissa e coordinate di un film,
- sanno che è l’enunciato che accoglie le tracce dell’enunciazione fino a fare di ciò che lo situa una delle proprie direttrici,
- sanno che è il ritmo di un racconto che cancella le tracce dell’enunciazione nell’enunciato;
Ma sanno anche che è pur sempre un punto preciso quello che si da a vedere: palese o occulto, emergente o sommerso, è il luogo dell’affermazione e dell’installazione di un enunciato, è l’ambito in cui un ruolo si salderà ad un corpo, a definire comportamenti e profili di ciò che si chiama lo spettatore.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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