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Una sequenza di "I ragazzi di Broadway"



Il terzo esempio è un brano de I ragazzi di Broadway:
La sequenza che forma il numero “Hoe Down”, inizia con un sipario chiuso, e di spalle un direttore d’orchestra che da avvio alla musica; il sipario si apre su di una scena campagnola, con un’orchestrina di contadini sulla dx e Judy Garland che canta su di un covone di grano sulla sx; la cinepresa va in carrello sul P.P. della cantante, che guarda in macchina. Allo stacco, la Garland salta giù dal covone, e si trasferisce in platea a danzare con i ragazzi del pubblico; la grande orchestra è sparita, e ci sono solo alcuni suonatori prima tra la gente e poi ai bordi del palco; la danza continua con il formarsi e riformarsi di coppie, e ogniqualvolta una di queste arriva in P.P. e guarda la cinepresa, una rapida volée sposta l’attenzione su qualcun altro. Dopo alcuni stacchi, la platea si rivela transennata, e un ballerino convertito verso il centro della pista improvvisa un tip tap; al termine del suo numero, anche lui va in P.P., e guarda in macchina. Di nuovo uno stacco, e la cinepresa avanza abbattendo le transenne, disposte ora una dietro l’altra; la danza continua fino a un nuovo P.P della Garland e di Mickey Rooney, con lo sguardo fisso in macchina. Stacco, un rapido ballo sopra le transenne abbattute e i P.P. finali dei protagonisti, che puntano gli occhi alla cinepresa.
Qui è facile trovare un insistente ritorno dell’interpellazione: per almeno cinque volte i personaggio sullo schermo si rivolgono direttamente a chi gli sta di fronte nella sala; per almeno cinque volte si va da un Tot. oggettivo al P.P. di qualcuno che chiama in causa chi lo sta osservando. Ma la cosa più sorprendente è come questo andamento a rima alternata si apra ad una piccola perversione: ogni volta che parte un nuovo blocco AB c’è qualcosa che cambia rispetto alla situazione precedente e, di conseguenza, lo sguardo in macchina che conclude ciascun distico AB segna l’esaurirsi di un modulo scenografico e l’avanzare di un diverso disegno.
Ecco il punto: questo sovrapporsi di due territori tradizionalmente divisi rappresenta, non solo il filo conduttore di una brillante coreografia ma, piuttosto lo specchio della configurazione enunciazionale che punteggia e sostiene il gioco. L’aperto indirizzarsi a chi sta seguendo il film porta ad accendere i parametri sottesi al discorso audiovisivo grazie ad una duplice mossa:
- da un lato quanto regge i fili della rappresentazione cinematografica si palesa con grande chiarezza;
- dall’altro lato lo sguardo in macchina offre al darsi del film un esito particolare: non una figurativizazione quale abbiamo appena notato, ma la costituzione di un punto di visione e di ascolto per quello che esso letteralmente è, e cioè uno spazio vuoto davanti allo schermo, un irrimediabile fuori campo, dato che nessuna inquadratura verrà a saturare l’idea verso cui i personaggi puntano gli occhi, e tuttavia uno spazio perfettamente agibile, un versante aperto quasi a forza da quell’occhiata, e pronto ad essere concretamente riempito, sia pur in ambito ulteriore com’è quello attivato dalla comunicazione.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
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