Skip to content

Il percorso di Eve in Paura in palcoscenico - Hitchckock -



Il percorso compiuto da Eve ci suggerisce alcune osservazioni.
Innanzitutto esso porta progressivamente a chiarire la natura dei due protagonisti:
- l’uomo, che si presenta come fonte di notizie, man mano che la vicenda avanza mostra di vivere dentro la finzione;
- mentre Eve, che sogna di calcare il palcoscenico, via via che la storia si dipana scopre il fascino dell’inchiesta e della decifrazione.
È facile cogliere nei due caratteri un’esemplificazione di quanto il film rievoca sin dal titolo, e cioè il mondo della messa in scena: recitare una parte può voler dire sia indossare una maschera e declamare delle battute a memoria, sia cercare se stessi attraverso e sotto la simulazione; e in questo senso i due rappresentano le due facce del teatro.
Ma è anche lecito scorgere nei due temperamenti una polarità più generale: da un lato l’uso della menzogna, combinazione di sembrare e non-essere, e dall’altro lato lo scontro con il segreto, congiunzione di essere e non-sembrare; è proprio questa polarità che assegna ai diversi tracciati un senso complessivo e che ci fa intravedere le grandi categorie su cui il film opera, le forme di conoscenza che vengono messe a confronto, il sistema di valori cui ci si intende riferire.
Il percorso di Eve illustra inoltre in modo perfetto la condizione dello spettatore.
Vi ritroviamo non solo una consegna di compiti, la messa a punto di una predisposizione, la promessa di un premio, ma anche le situazioni fondamentali che caratterizzano la visione e l’ascolto – il credere in quanto è proposto; il voler entrare direttamente in scena; lo stare nello stesso istante sul palcoscenico e nella sala, con il disorientamento dovuto all’ubiquità; l’alternarsi di ipotesi e di smentite; l’esser presi dalla vicenda e il sentirsi minacciati; la conquista finale di una comprensione –.
In questo senso la donna non è certo una narratrice occasionale: è piuttosto il prototipo di colui al quale il film è indirizzato.
Il percorso di Eve infine ribalta le gerarchie tra i ruoli enunciazionali.
Mentre all’inizio del film la funzione di guida spetta al narratore, alla fine del film chi si impone è il narratario.
In quest’ottica il nostro film può ben essere letto come un tentativo di correggere il flashback di apertura, non tanto nei suoi contenuti, quanto nella sua struttura di base: a un architettura che prevede che un’interpellazione inneschi una soggettiva almeno tendenziale, e dunque che sia un punto di parola a determinare un punto d’ascolto, viene man mano opposto uno sguardo capace di mettere a fuoco da solo gli oggetti in campo – se si volendo, un’attenzione autoregolata –.
È cruciale il momento in cui Eve si rende conto di amare Smith scorgendo il pianoforte su cui egli ha suonato; da questo punto in poi il nostro film non avrà più dubbi: la volontà di ricostruire i fatti prevarrà sul resoconto d’ufficio, il piacere della decifrazione prenderà il sopravvento sul semplice dettato, e il narratario potrà far fruttare il proprio campo d’azione.

Tratto da CINEMA di Nicola Giuseppe Scelsi
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.