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Studio antropologico: il problema dell’incesto


La forma di endogamia più ristretta è l’incesto, anche se si tende ad evitarlo nella maggior parte delle società: non è tabu o proibito, ma è la morale che lo trova riprovevole. La differenza tra proibizione dell’incesto ed esogamia è che la prima riguarda i rapporti sessuali, la seconda le scelte matrimoniali. Essendo le donne un bene indispensabile ma scarso, e vista la tendenza dei maschi alla poliginia, non ci si può permettere di rimanere senza moglie. Padri e fratelli sarebbero però stati costretti a rinunciare al controllo delle loro figlie e sorelle in favore del gruppo. Un uomo però può intrattenere rapporti sessuali con una figlia senza che a questa sia impedito sposare un altro uomo: l’incesto risulta dannoso perché impedisce lo sviluppo di una rete allargata di relazioni sociali, oltre al fatto che se una donna avesse un figlio da suo padre sarebbe allo stesso madre e sorella del bambino, portando a confondere i ruoli sociali con quelli biologici. Altro problema è che l’incrocio tra consanguinei porterebbe a risultati genetici disastrosi, ma non è l’unico motivo per cui non si è diffuso l’incesto, e anzi viene visto come un tabu: se si pensa alle società primitive e alle condizioni di vita dell’epoca, si capisce che i tempi di pubertà, di matrimonio e di morte non coincidevano, e quindi era impossibile che il figlio si accoppiasse con la madre (magari già morta) o un fratello con la sorella (se maggiore, probabilmente era già sposata, se era minore, era ancora in una fase di prepubertà, e quindi inutile da sposare).

Tratto da IL PRIMO LIBRO DI ANTROPOLOGIA di Elisabetta Pintus
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