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Il tempo dell’antropologia


Per aggirare il problema di vivere una situazione al presente e raccontarlo poi quando ormai è diventato passato, si usava prima il presente etnografico tramite il quale si esponevano i dati ottenuti come fissati in un tempo contemporaneo, che non prevedeva variazioni tanto nel passato quanto nel futuro delle popolazioni descritte; la storia era spesso ignorata o relegata al capitolo iniziale, separata dal contesto generale. L’effetto era quello di una immobilità storica, di una ripetitività di modelli tradizionali, di una quasi totale mancanza di fattori di mutamenti, se non dovuti a cause esterne. Furono gli antropologi della Scuola di Manchester a introdurre i processi e i mutamenti come chiave di lettura della società: processo significa tempo. Il problema è che l’altro viene spesso collocato in una sorta di dimensione temporale a noi lontana.
La società occidentale ha costruito uno spazio e un tempo politici all’interno dei quali collocare gli schemi di una storia "a senso unico", che si fondano a loro volta sulla concezione giudaico-cristiana, talmente radicata da apparire naturale: la contemporaneità dell’esperienza di terreno svanisce nell’esposizione finale nei testi, in quanto viene negata proprio la temporalità materiale della comunicazione attraverso il linguaggio, che ha segnato la pratica della ricerca del terreno. Spesso l’occidente ha proiettato l’Africa in un tempo primitivo, utilizzandolo come specchio per riflettere, sia in positivo che in negativo, su se stesso e per rigenerarsi, uno specchio che ci dice quanto siamo migliori, avanzati, evoluti, che ci rassicura, grazie al fatto di essere altro da noi.
L’antropologia si occupa di come la gente cerchi ostinatamente, anche contro forti pressioni, di mantenere pratiche passate e di come in altri casi sia pronta a rinunciare senza molti indugi ad altri comportamenti: si occupa quindi della contemporaneità e della modernità di coloro che studia, anche se dopo essere reinterpretata dagli antropologi, può non sembrare così moderna. Ma ogni società e ogni era si presenta irrimediabilmente moderna, e ciascuna ha le sue buone ragioni per essere così concepita.

Tratto da IL PRIMO LIBRO DI ANTROPOLOGIA di Elisabetta Pintus
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