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I soggetti della scrittura


Le ricerche iniziano e terminano dietro una scrivania, dove si progetta l’oggetto della ricerca, e poi si parte; al ritorno però molto spesso bisogna fare i conti con l’aver vissuto esperienze non pianificate.
Nella prima fase dell’antropologia si è cercato di oggettivare il più possibile la ricerca per conferirle lo status scientifico che non aveva questa disciplina, cercando di far assomigliare le monografie etnografiche a un trattato naturalistico. Questo tratto nasce però dalla scrittura, che deve tradurre un’esperienza umana complessa. Nelle monografie classiche il soggetto narrante appare come autore nella copertina, ma nel testo è ignoto, diventando un io invisibile, che sa e vede tutto senza mai partecipare ai fatti; utilizza la tecnica linguistico-narrativa sul modello della monografia naturali. Elemento caratterizzante è il presente etnografico, al verbo presente, che però congela l’immagine delle società sospendendole in una condizione immutabile e atemporale, annullando ogni dinamica interna, ogni processo di trasformazione, consolidando l’immagine di popolazioni statiche, immutabili, senza passato né futuro. Il presente che si vive sul campo è un presente condiviso, unico elemento che li accomuna: l’unico modo per evitare il più possibile il problema è riportare il discorso del ricercatore in prima persona. La crisi dell’oggettività (anni ’80) è un segno del disagio di un’epoca, in cui l’occidentalizzazione del mondo corrisponde all’indebolirsi delle certezze dell’Occidente sulla propria identità.
Si aggiunge a tutto ciò un’altra soggettività, legata alle persone che lo accompagnano lungo il cammino sul campo: non più sull’oggettività scientifica, quindi, ma sul terreno del dialogo, dove deve comparire anche il ricercatore, includendo anche le persone incontrate. La narrativa è fondamentale per stabilire le posizioni iniziali dei soggetti del testo (etnografo, nativo, lettore), che non devono essere eliminati o trascurati. La scrittura è una necessità inevitabile, un sacrificio nel quale la vittima sacrificale deve soffrire il meno possibile, con una narrazione meno metaforica e più realistica, con un’assenza/ampiezza di confini della narrativa che permette di mostrare una realtà nelle sue molteplici sfaccettature, inclusa quella di chi scrive; il racconto è un genere permeabile e indefinito, adatto a contenere tutte le diverse espressioni si un’esperienza umana come la ricerca sul terreno. La narrazione non può fare a meno della presenza del ricercatore sul campo in quanto fattore che altera la realtà locale con la sua presenza che crea curiosità e relazioni nuove e preferenziali e con l’indurre la gente del posto a parlare e a tentare di spiegare cose ovvie nella sua vita. Più che decidere tra distacco e coinvolgimento, si tratta di dosarne le proporzioni, con uno sguardo sempre un po’ da lontano, a metà strada tra il rigore oggettivo dello scienziato e l’empatia del romanziere.
Il genere letterario-etnografico si adatta alla rappresentazione della vicenda antropologicamente grazie alla sua capacità di connettere eventi, tempi e spazi diversi attraverso una trama costante e continua.

Tratto da IL PRIMO LIBRO DI ANTROPOLOGIA di Elisabetta Pintus
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