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La morte della critica cinematografica



La critica non morirebbe, come non è ancora morta, anche se fosse costretta a rinunciare ai valori rassicuranti della testualità. L’industria interpretativa è probabilmente in difficoltà, ma meno di quanto i critici lamentano di continuo: ci si trova davanti un insieme di procedure standard solido e stabile, un po’ usurato ma capace di lente modificazioni.
È vero: gli spazi di critica, soprattutto sulle riviste a maggior diffusione, diminuiscono progressivamente. È vero: l’irruzione sulla scena sociale dei nuovi media ha già provocato e provocherà sempre più una ridefinizione dei sistemi simbolico espressivi.
Nel campo della critica il senso di crisi avvertito dall’istituzione è riportabile, sul piano non-specifico, al sempre maggiore indebolirsi del concetto di ruolo di competenza in relazione ai singoli attori sociali, sul piano specifico, ad una dissoluzione del senso di squadra tra i vari partecipanti al gioco dell’interpretazione.
Se prima il critico si distingueva giocando in un contesto di confronto identitario con la figura del regista e con quella, plurale, del pubblico, oggi questo gioco si è indebolito. Il regista ignora istituzionalmente il critico, e lo scontro di opinioni su questo piano lascia spazio solo all’ignoranza reciproca o all’insulto; il lettore da parte sua, pur leggendo sempre meno la critica specializzata, ha a disposizione una serie di strumenti, ancora più diretti di un tempo, per farsi critico in prima persona, saltando anche quei deboli ma essenziali passaggi obbligati attraverso un minimo di iniziazione professionale.
La critica cinematografica muore come sono morte di recente la Storia, la Letteratura, il Cinema; cioè non muore, ma muta, si modifica, cambia pelle. Non sembra esserci nulla di più immortale di una morte continuamente annunciata.
Non è facile decidere sul destino dell’istituzione, ma fino a quando questo esercito mobile di routines, di euristiche, di assunzioni paradigmatiche, di schemi interpretativi definito critica continuerà ad essere osservabile e a dare segni di stabilità, non sarà possibile optare facilmente per l’ipotesi apocalittica della scomparsa e dell’oblio a breve termine.

Tratto da CRITICA CINEMATOGRAFICA di Nicola Giuseppe Scelsi
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