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Il suono della musica come simbolo socio-economico


Per quanto riguarda "il bianco e dolce cigno", madrigale di Jaques Arcadelt, notiamo che la partitura semplice e versatile permette all’autore di venderne molte copie, tanto da farla ristampare più di 57 volte, mentre quella di "<<io parto>>e più non dissi", madrigale di Carlo Gesualdo è stata stampata solo una volta nel 1611, quindi, proprio a causa della sua complessità e difficoltà d’ascolto, si può asserire che non ebbe successo economico.
Un altro esempio che possiamo proporre per analizzare questo punto è il settimo libro de madrigali di Claudio Monteverdi. Dalla copertina osserviamo che sotto al titolo c’è un’indicazione del numero delle voci utilizzabili, ovvero << […] 1,2,3,4 & sei voci >>. Tramite questo espediente l’autore poteva garantirsi un gran numero di vendite dell’opera, in quanto non c’era una precisa indicazione relativa al numero esatto dei cantanti da utilizzare per la buona riuscita dell’opera, con la conseguenza che chiunque poteva acquistare il volume senza andare incontro a limitazioni di organico. Del buon successo del libello abbiamo conferma già dalla sua copertina, in quanto possiamo notare che reca la scritta “nuovamente ristampato”.
Passando a un argomento un po’ più specifico, andiamo a studiare un madrigale che vi è contenuto intitolato Tirsi e clori. In questo brano, suddiviso in parti per soprano e tenore, notiamo che è presente il testo sotto le parole; l’inserimento non era una pratica inusuale al tempo, in quanto la parte così scritta poteva essere cantata o suonata (se non veniva incluso il testo, poteva essere solo eseguita strumentalmente).
Dalla biografia dell’autore, veniamo a conoscenza del fatto che trascorse un periodo della sua vita alla corte di Mantova: il libro analizzato in  precedenza, infatti, è dedicato <<alla serenissima madama Caterina Medici >>. Dai documenti appare, inoltre, una lettera scritta ad Annibale Iberti,, signore di Mantova, nella quale Monteverdi illustra il modo in cui, a suo parere, dovrebbe essere eseguito quello specifico madrigale.

[…] giudicherei per bene che fosse concertato in mezza luna, su li angoli de la quale fosse posto un chitarone e un clavicembalo per bando sonando il basso l’uno a Clori e l’altro a Tirsi, e che anch’i avessero un chitarone in mano, sonandolo e cantando loro medesimi nel suo e li detti duoi usimenti (se vi fosse un’arpa in loco del chitarone a Clori, sarebbe anco meglio); e gionti al tempo del ballo dopo dialogati che averanno insieme, giongere al ballo sei altre voci, per essere otto voci, otto viole da braccio, un contrabbasso, una spinetta arpata (se vi fossero anco duoi leuttini piccoli sarebbe bene) […]

In pratica, egli suggeriva l’uso di due liuti (chitaroni) e due clavicembali (oppure un clavicembalo e un’arpa), otto viole da braccio, due solisti e sei coristi, un contrabbasso e una spinetta arpata (strumento affine al clavicembalo ma molto più piccolo). Se avesse inserito queste informazioni nella partitura a stampa, non avrebbe ottenuto il successo che invece conquistò, in quanto l’organico da lui proposto era disponibile solo a corte.
Questo atteggiamento dell’autore era dato anche da una condizione specifica dell’artista molto frequente all’epoca, ovvero la causa economica.

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