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La Resurrezione della chiesa di Taggia Alta


Nella Resurrezione ancora nella chiesa di Taggia Alta, il Brea scompare, Giovanni tiene per sé il ruolo di capo bottega ed esegue il volto del Risorto, il perizoma e poche altre parti, Luca sviluppa le soluzioni compositive, seguito dal padre a livello esecutivo. Dalla piatta occupazione dello spazio si arriva ad un primo tentativo di organizzazione dello spazio stesso. In una dimensione aperta su un paesaggio con suggestioni leonardesche, segnato in profondità dalle geometrie scorciate del sepolcro e in senso assiale della centralità del Cristo, si articolano figure che a loro volta vogliono occupare e definire lo spazio come l’uomo con l’alabarda. È l’enfasi di volontà di interpretazione dei grandi che cambia la produzione della bottega di Cambiaso con il possesso di disegni e stampe tratte dalle novità michelangiolesche. La suggestione di Michelangelo è forte, la figura di risorgente del Giudizio che rovescia violentemente il capo può essere all’origine dell’invenzione del soldato sulla sinistra in basso nella tavola cambiesca, la figura adagiata e che si ripara con lo scudo dichiara un interesse che può andare dalle figure dei caduti della Battaglia di Costantino, dipinta da Giulio Romano a quelle del cartone della Battaglia di Cascina. Il colore, quasi un monocromo dalle lucidità di una lega di ottone, è assorbito dall’impegno di tradurre la plasticità dei corpi, complicata nelle arditezze degli scorci. Disegno, composizione della figura, colore sono come campi di esercitazione che assorbono le forze dell’artista, limitate non dalla povertà dell’estro che è presente, ma dalla scarsità delle basi di cultura pittorica. È evidente la mancanza di un’esperienza. A Luca manca un maestro e la sua personalità va formandosi tra le potenti sollecitazioni delle novità e l’assoluta mancanza di buoni esempi di pittori militanti. L’attività di Luca fino ai 25anni è legata a quella modestissima del padre e questi non è alieno da accettare e forse dallo spingere verso il desiderio di aggiornamento e di sperimentazione del figlio ma allo stesso tempo lo chiude nella bottega della quale mantiene la titolarità. Ne deriva che nessuna opera, fino ai 25anni, e quindi almeno fino al 1551, possa essere attribuita singolarmente a Luca, ma tutte vadano considerate realizzate nell’ambito della bottega. Da una piatta organizzazione della superficie, la scoperta del volume della figura porta ad una occupazione dello spazio attraverso l’accentuazione di un disegno enfatico che risulta di ardua coloritura. Risulta significativa l’importante partecipazione al grande cantiere decorativo del palazzo Antonio Doria. I Cambiaso qui giocano la carta dell’enfatizzazione delle forme tradotte in termini di terribilità michelangiolesca.
Il progetto del salone di Ercole muove in direzione di un esasperato gigantismo. L’esecuzione di questo primo affresco sembra in gran parte del padre, spesso sordo cromaticamente, con drastiche semplificazioni nella resa anatomica, in cui le figure sono costruite per masse muscolari giustapposte. Malgrado la complessa e faticosa spazialità costruita con il viluppo e lo scorcio dei corpi, tutto è svolto e ridotto in una piatta frontalità. Sembra quasi che Luca abbia lasciato il cantiere e che il padre abbia lavorato da solo all’affresco. La tempra e la capacità pittorica di Luca emergono in alcuni episodi, nella vena bozzettistica delle vele con intrecci di mostri marini e tritoni, condotti con illuminazioni di pennellate di bianchi nelle teste di zefiri alla Perin del Vaga. Alla ben più felice mano di Luca riporta all’eleganza delle figure del Beccafumi, come i due guerrieri sul paesaggio di fondo nella scena principale e ciò che resta in alcune lunette.
Una maggiore perizia emerge nella composizione e nella realizzazione dei termini di spazio e figura nel salone dell’affresco di Apollo che saetta i Greci. Luca è per larga parte protagonista anche se il padre si riserva l’esecuzione di parti centrali per sottolineare il suo predominio nell’organizzazione della bottega. La volta è resa in modo tale da risultare incombente per chi la guarda. Le figure si collocano su due diagonali che muovono dal profondo di uno spazio ampio. Sul lato destro, i corpi, con la forza di un’ondata, si infrangono, procedendo dal fondo, sulla superficie limite dello spazio dipinto, fino ad occuparlo. Al centro, inteso come motore dell’azione ma in realtà da esso avulso, Apollo saettatore, tra nubi chiaroscurate tra una catasta di caduti e morenti occupa il primo livello al centro della scena, dove la figura dell’uomo che sta per cadere con le braccia spalancate è iterata nel secondo piano, tra un annodarsi di corpi. Sul lato sinistro, lo statuario gruppo del portatore del ferito e quello del guerriero disarcionato cadente dal cavallo si stagliano su un paesaggio ampio, animato da lontane figure umane.
Il problema della figura nello spazio sarà sperimentazione ossessiva per il Cambiaso. Nel Giudizio dipinto con tutta probabilità nel 1550, sulla controfacciata del santuario di Nostra Signora delle Grazie a Chiavari, pur in una evidente semplificazione, correzione e quindi banalizzazione del soggetto michelangiolesco, la citazione è palmare. La struttura del Giudizio della Sistina è presa in considerazione in tutte le sue parti, dagli Angeli con i simboli della passione, al Cristo giudice e alla Vergine che intercede, dagli Angeli annunzianti il giudizio, ai beati risorgenti e ai dannati in processione dal fondo.

Tratto da IL PERCORSO ARTISTICO DI LUCA CAMBIASO di Gabriella Galbiati
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